Chi sono

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Sono Daniela Spagnolo, Influencer di Gentilezza e Inclusività, Scrittrice di Donne, Blogger, Founder of @kindpowity_bydanielaspagnolo. Nel 2013 pubblico, in self publishing, "Fate Moderne", e nel 2016, sempre nella stessa forma, "La gente perbene e la ragazza del mercato". Nel 2018 esce "Il silenzio del Tempo", edito dalla casa editrice 96-rue-de-la-fontaine. Nel 2021 è la volta di "Dora", un noir dai tratti gotici, pubblicato con la LFA PUBLISHER, che si pone l’ambizioso obiettivo di essere il primo di una serie tutta ambientata nella medesima cittadina. Nel 2022 arriva "Piccolo Diario di una Cicatrice", ancora edizioni LFA PUBLISHER: un libro interattivo per provare a ripartire dalle proprie cicatrici. Vivo a Grugliasco alle porte di Torino (la mia città natale), e sono naturalmente spinta verso l’impegno sul territorio, che nel 2023 trova realizzazione nella costituzione del PRIMO GRUPPO DI LAVORO sulla DISABILITA’ – GRUGLIASCO, che ho fondato insieme ad una cara amica con la quale condivido esperienze di vita. Scopri di più su quello che faccio: linktr.ee/daniela.spagnolo_scrittrice

martedì 29 novembre 2022

Il Potere della Scrittura

Oggi ho ricevuto un biglietto in buca.

Un bigliettino. Cioè, voglio dire: fantascienza!

Chi riceve più posta scritta a mano? Io credo nessuno.

Di solito, quando apro la cassetta delle lettere, o la buca delle lettere (chissà, poi, perché si chiami così! Bho! “Buca”? piuttosto riduttivo, direi) ciò che mi aspetto di trovare sono, nell’ordine: bollette; bollettini del condominio; pubblicità delle pompe funebri.

Sì, credo che Torino, se non ricordo male, abbia avuto il primato per questo genere di pubblicità.

Si può immaginare con quanta trepidazione io possa avvicinarmi a questo antro che definirei dell’orrore!

Quando, poi, mi va bene e non trovo nulla da pagare, né nessuna pubblicità macabra, allora trovo avvisi di mancata consegna di qualche raccomandata. Il lieto fine, tuttavia, resta zoppo, perché in genere si tratta di multe.

Io ricordo che da bambina scrivevo lettere a mia nonna Antonietta.

Mia nonna viveva in meridione, più precisamente in Basilicata, ancora più precisamente in un paesino in provincia di Potenza, Montemilone.

Mia nonna profumava di paese. Mi voleva un gran bene e anche io gliene volevo.

Mia mamma, che da mia nonna ha preso la dolcezza, mi diceva di scriverle queste lettere in occasione del Natale. Io le facevo dei disegni e poi ricordo nitidamente che mi mettevo il rossetto e stampavo un gran bacio sopra di esse, al posto della firma.

Ero felice! Penso che lo fosse anche la mia nonna, ma non gliel’ho mai chiesto. O magari me lo ha detto, ma io non lo ricordo, ora.

Ecco, secondo me, scrivere una lettera non è soltanto mettere dell’inchiostro su un foglio.

Scrivere una lettera comincia proprio dal foglio.

Devi sceglierlo con cura, pensando al destinatario. Ricordo che, sempre da bambina, nella cartoleria dove andavo a rifornirmi di cancelleria per la scuola elementare, avevano un grande assortimento di carta da lettere: a fiori, a tinta unita, profumata, con o senza i margini, con le righe, con i quadretti… era arduo scegliere!

Una volta che hai scelto la carta, dovrai scegliere l’inchiostro.

Anche qui, puoi spaziare: nero o blu, per i messaggi formali: e questa è facile!

Colorato per gli amicali, ma anche nel colore dovrai scegliere oculatamente: rosa se vuoi essere delicato, verde se vuoi essere leggero, arancio se vuoi essere simpatico, e via così. A libera interpretazione.

Infine, c’è la grafia.

Sulla grafia si potrebbe scrivere un tema, poiché ognuno ha la propria, ed essa cela mille aspetti della psicologia di ognuno di noi. Io non sono preparata, quindi finirei per scrivere ovvietà e banalità.

Certo è che, nell’atto di scrivere un messaggio a mano, mi concentro di più, al fine di rendere il tratto più gradevole alla vista e fare in modo che anche la grafia diventi parte della sceno-grafia e colpisca in maniera favorevole l’occhio del destinatario, affascinandolo e attraendolo.

Ecco, dunque, che il fatto di trovarmi nella cassetta delle lettere un reperto storico come un esemplare di biglietto scritto a mano, mi ha catapultato indietro nel tempo.

Così è stato, in effetti, ma non nel modo che speravo.

La verità è che sapevo bene di cosa si trattasse, ma non volevo pensarci.

Era già stato abbastanza doloroso e sapevo che anche quel biglietto avrebbe risvegliato quel dolore.

Il dolore di una parte di vita che non c’è più. Tuttavia, pur sapendolo, è stato comunque uno schiaffo.

Ho ritrovato la scrittura di una carissima Amica; una scrittura che campeggiava tutti i giorni sul mio diario di ragazza; una scrittura che conosco e alla quale voglio bene.

Questa volta, non scriveva di concerti o di gruppi musicali; non scriveva di professori o di compagne.

Mi ringraziava per essere stata partecipe al suo grande dolore.

Mi chiedo: perché?

Perché abbiamo sdoganato i messaggi virtuali per qualunque tipologia di comunicazione, ma manteniamo quelli scritti per comunicare il dolore?

Perché lasciamo solo ad esso il privilegio di restare nella scrittura a mano?

Perché non riusciamo a mantenere questa buona abitudine di trasferire il nostro affetto con una penna in mano, invece che affidarlo all’etere?

Riflettiamo: quanto ci resterebbe incollato di più addosso il buon umore, se esso fosse scritto a penna?

Quanto, invece, viene amplificato il dolore?

Ma la risposta è una, chiara, precisa, sicura: il motivo è il Rispetto.

Il rispetto della forma, che ancora esiste per poche e selezionate occasioni.

E allora mi dico: per fortuna!

Per fortuna ancora si scrive a mano il dolore: almeno non resta inutile, sprecato.

E, finisco, domandandomi: se con questo biglietto io ho potuto sentire quasi sulla mia pelle il dolore della mia cara Amica; se la scrittura ha, dunque, questo potere con il dolore, quanto ne avrebbe con la felicità o l’amore?




mercoledì 9 novembre 2022

TRAPPOLE DI ORGOGLIO

Il giudizio è una trappola.

Infatti, proprio come una trappola si nasconde in mezzo ai “Secondo me”, si mimetizza tra i “Personalmente, io penso che…”.

Come un animale predatore che si camuffa da preda, il giudizio è rivestito di buone intenzioni: ne ha almeno tre strati, che lo rendono praticamente irriconoscibile ad occhio nudo.

Uno per nascondersi alla vista, uno per non farsi riconoscere a pelle, e, infine, uno per non farsi scoprire dai sentimenti.

Fermo restando che siamo tutti pronti a condannarlo, poi mi chiedo: quante volte ci siamo resi conto di averne emesso uno o di esser stati sul punto di farlo?

A me è capitato. Diverse volte. E sapete come ci si sente, mentre lo fai?

Ti senti superiore. Ti senti un grande. Ti senti migliore, anzi IL migliore.

È una sensazione che ti gasa.

Poi però il gas passa, evapora e, come una bibita che viene lasciata aperta fuori frigo, la sensazione che rimane è quella di mancanza di sapore, di gusto, di tonicità.

Anzi, potrei anche dire che dopo, quasi subito dopo, ci si sente vuoti, sgonfi, piatti: come un pallone sgonfio, come se quello che hai appena detto fosse sporco.

Ma tu devi reggere quell’odioso Gioco delle Parti e fai finta di nulla, anzi ti racconti che tu sei nel giusto, il giusto assoluto con la G maiuscola.

E poi, ti dimentichi.

Parallelamente, la sensazione di chi riceve il giudizio, di chi viene in qualche modo marchiato da esso, si manifesta in maniera diametralmente opposta: le parole arrivano, feriscono la pelle, penetrano la carne, fanno sanguinare l’anima.

Il problema che è che il diametralmente valido sulla parte iniziale del processo, non vale anche sulla seconda parte, ossia il dopo: quel marchio arriva per restare, nel cuore di chi lo riceve, e non può essere lavato via.

Bene o male, tutti abbiamo vissuto sia una che l’altra condizione, e allora mi dico che la propensione al giudizio molto probabilmente è generata dall’avvilimento che il giudizio stesso provoca: nel disperato tentativo di trovare consolazione alla propria mortificazione, reiteriamo sull’altro la stessa mortificazione e ne amplifichiamo il raggio d’azione, in una spirale infinta.

Ma, allora, la soluzione quale è? Il sacrificio del disinnescare, forse.

Sacrificio dell’amor proprio, dell’orgoglio.

È un vero sacrificio, questo?





mercoledì 21 settembre 2022

Riflettevo

Riflettevo su come fosse assurdo ed ingiusto che siano i drammi a farci ricordare delle numerose note positive di cui si compone la sinfonia delle nostre vite.

Perché dovrebbe essere una cicatrice a farci ricordare dell’immensa ricchezza di amore di cui già eravamo circondati?

Perché, spesso, non riusciamo a riconoscerlo ogni giorno nei gesti semplici: la mano tesa di nostro figlio; un tramonto; la pioggia leggera; una telefonata; un piatto ben cucinato; una corsa al mattino presto; un lavoro che ci viene affidato.

Ogni azione che compiamo o che ci viene richiesta è, prima di tutto, fatta di molteplici altre azioni e considerazioni: come le miriadi di paillettes che compongono il costume di una ballerina.

Sta a noi far muovere quel costume e far brillare le paillettes.

Sta a noi riconoscere, in ogni azione che compiamo o che ci viene richiesto di compiere, il suo apporto positivo alla nostra giornata e alla nostra vita



sabato 20 agosto 2022

il Mio-Tempo e l'Urgenza

 

Riflettevo sull’utilizzo del tempo.

Pensavo a come lo impiego.

Ho realizzato che, nel mio vivere e impiegare il Mio-Tempo, c’è sempre un senso di Urgenza.

Si tratta di una Urgenza che si diffonde dal petto e mi invade ogni tessuto, ogni respiro.

Si tratta di una condizione che mi obbliga, quasi, a riempire ogni attimo di emozioni, visive e sensoriali.

E così, capita che, dietro al vessillo di questa entità che si impossessa di me, io faccia cose e prenda decisioni. Così, vivo esperienze che risultano amplificate dalla velocità con cui, spesso, vengono vissute.

E poi, però…

E poi però mi chiedo: ho vissuto “bene” quel Mio-Tempo?

Ho vissuto “abbastanza” quel Mio-Tempo?

Ho impiegato “costruttivamente” quel Mio-Tempo?

Potevo “fare di più o meglio” in quel Mio-Tempo?

Mi chiedo se l’urgenza mi permetta, anche, di interiorizzare, e mentre me lo chiedo realizzo che, in effetti, non sarei capace di fare altrimenti: non è una costrizione, la mia, è una naturale propensione.

La mia testa non potrebbe concepire nemmeno un minuto senza un impiego.

Sarebbe un “minuto sprecato”.

Ma allora, dove si trova lo spazio temporale per la contemplazione?

Dove trova posto la noia?

Dove si colloca l’ispirazione che nasce dal fermarsi?




giovedì 14 luglio 2022

Un Nuovo MOOD sta arrivando!

Cuoricini cari, un nuovo mood, un nuovo vivere, soprattutto un nuovo sentire, sta arrivando presto! Tenetevi sempre aggiornati sul mio sito

WWW.DANIELASPAGNOLO.COM

dove vi informerò dei nuovi passettini che faremo insieme da Settembre in avanti. 

Sarà un nuovo approccio al quotidiano!




venerdì 24 giugno 2022

La vita di un Ipocondriaco

 La vita di un’ipocondriaca è dura. Durissima.

Si tratta di un’esistenza votata alla Malattia.

Per l’ipocondriaco, la Malattia assume le sembianze di una divinità cui dedicare ogni attenzione.

È una divinità multiforme e variamente dislocata: nel senso che, nel caso non fosse reperibile nel corpo dell’ipocondriaco, al poveretto basterà anche solo sentirne parlare, per farla propria e autogenerarsela.

Quando l’ipocondriaco, per pura distrazione, vive rari e pochi momenti di libertà dal suo unico pensiero fisso, la Malattia riconquista violentemente il proprio posto nella prima fila dei pensieri dello sventurato, accecandolo in ogni suo (blando) tentativo di ripresa di una vita all’apparenza normale.

Sul concetto di normalità, molto ci sarebbe da dire: quali sono, infatti, i parametri vitali di un’esistenza normale?

Ci vorrebbero gli asterischi dell’emocromo, e poi un medico da cui andare per farsi leggere i risultati:

“Dottore, com’è la mia esistenza? Sono nella norma?”

“Bhe… i suoi livelli di Ansia e Paura hanno ecceduto il limite massimo consentito”

“Oddio…è tanto grave?”

“Certamente!”

“Mi dica che c’è una cura, La prego”

“La cura c’è, ma non gliela posso dare, perché per Lei non va bene, purtroppo”

“Ma come?!”

“Lei ha un interruttore in testa?”

“No. Sono nato senza. Lo so. Me lo ha sempre detto mia madre…”

“Ecco, appunto. Se Lei ne avesse uno, glielo potrei spegnere, ma…”

“E allora, come faccio, Dottore? Mi salvi Lei!!!”

“Mi dispiace. Deve salvarsi da solo…”




giovedì 23 giugno 2022

PICCOLI MOMENTI

Se ci pensiamo bene, la nostra vita è fatta di giorni; i giorni sono fatti di minuti; i minuti di secondi…e così via.

La nostra vita, dunque, è fatta di piccole cose, brevi istanti. Piccoli Momenti.

Alcuni particolarmente tosti da superare, altri, invece, decisamente più semplici da passare.

La maggior parte delle volte, invece, si tratterà di momenti neutri: istanti, che scorreranno nella totale indifferenza del nostro IO. Ma saranno proprio quelli i meno impegnativi, e anche i meno apprezzati.

Il nostro cervello ha, ahimè, questo difetto: memorizzare disgrazie, tori subiti, angherie, dolori,…

Dovremmo, invece, imparare a fermarci di più e più spesso; imparare ad analizzare più a fondo ciò che ci capita.

Sono certa che in questo modo, realizzeremmo quanta Serenità permei la nostra esistenza.




martedì 14 giugno 2022

Credo che...

Credo che noi, ognuno di noi, sia stupendo.

Credo che ognuno di noi sia un universo fatto di mille e un’anima.

E che, come in un caleidoscopio, queste anime si confondano tra loro a seconda di come la vita ci faccia girare.

Capita che il caleidoscopio giri bene. Allora sarà bellissimo: un’esplosione di colori vivaci.

Però capita anche che il caleidoscopio giri male: allora ci saranno colori scuri, nebbia, paura, sconforto. Magari anche vuoto, assenza di emozioni.

Come sarebbe bello poter avere il controllo di questo arnese che ci sbatacchia di qua e di là, a proprio piacimento!

Come sarebbe bello governarlo e decidere finalmente.

Certamente, non ci sarebbero più colori scuri, nebbia, paura, sconforto, vuoto, assenza di emozioni.

Sceglieremmo solo i colori dell’arcobaleno, sempre e comunque.

E alla fine, non saremo più capaci di riconoscere più l’arcobaleno.




domenica 12 giugno 2022

QUARANTA GIORNI

 40 giorni. La quarantena ha un senso allora.

Ci ho messo 40 giorni, anzi Quaranta (se lo scrivo in lettere fa più effetto) a comprendere ciò che mi stava succedendo.

La diagnosi iniziale, la conferma; le comunicazioni di carattere burocratico e quelle di carattere organizzativo.

Tutto sparato addosso, a me; solo a me; proprio a me. 

“No no, non ci siamo sbagliati: stiamo parlando proprio a lei, Signora”

“No, guardi, non ci siamo sbagliati, è proprio così, è tutto vero”

Il buio è calato. Come con due tendoni pesanti che celano la tua fonte di luce naturale, sana, vitale.

Ingenuamente, la prima soluzione cui ho pensato è stata: prendo il primo treno e scappo via da qui. Lontano. Così mi lascio tutto alle spalle e non mi accadrà nulla.

Ho anche pensato che se fossi stata sola al mondo, sarebbe stato più facile: nessuna comunicazione da dare, nessuna spiegazione, nessuno sguardo di pietà da sopportare.

Invece no. Devo comunque proseguire, come se nulla fosse. Come se non mi avessero comunicato che …

Quindi: cerca di aprire quelle tende pesanti. Cerca di far entrare la luce di cui prima godevo senza nemmeno rendermene conto.

La mia vita era perfetta, e non lo sapevo. Anzi, spesso me ne lamentavo: ingrata!

Eppure, anche se a volte la luce entra, ora sembra sbiadita e non scalda davvero il cuore.

Ho sulla mia strada persone fantastiche, che prima non conoscevo. Eppure queste stesse persone mi fanno paura e, sinceramente, avrei avuto anche piacere di conoscerle, ma non per la loro professione.

Sì, mi ci sono voluti quaranta giorni (e quaranta notti, come per il diluvio universale) per metabolizzare la mia nuova condizione. Ma questo non significa che io l’abbia accettata.

Sino al 12 aprile, la mia vita era normale, anche se non sapevo di avere, letteralmente, una serpe in seno.

Dal 13 di aprile sono stata catapultata in una realtà parallela dove mi muovo come in una bolla.

Non so ancora cosa mi aspetta. Per il momento, ho raccolto i miei pezzi e ho provato a rimontarli così come mi sembra che stiano meglio. Per provare a reggere gli ulteriori urti. Per provare a continuare.

Lo faccio per Voi, Edoardo, Giulio, Umberto. Lo faccio per Voi, mamma e papà. 

Sono certa che se non ci foste stati, le mie scelte sarebbero state altre, certamente più semplici all’apparenza.



giovedì 9 giugno 2022

A volte capita che...

A volte capita che mi sento divisa. 

Spezzata in due. 

Con una parte di me che affronta le cose della vita in maniera razionale; e un'altra, quella irrazionale, quella che ha paura di lasciarsi andare, quella che ogni volta che si è fidata ha ricevuto una sberla in faccia.

E a volte capita che questa parte sia quella che prende il sopravvento.

E allora succede che penso che ormai è tutto finito. 

E ci credo. 

E mi dispero. 

E sto male, malissimo.

Ed io, proprio io che sprono a fare pensieri positivi ogni giorno, capita che abbia paura di farli, poiché ho il terrore, di nuovo, di illudermi, e questa volta fatalmente.

Ho il terrore di lasciarmi andare, dimenticando anche solo un momento…perché poi l’angoscia tornerà più feroce di prima, e mi tormenterà la testa, fino a farla scoppiare.

Ed è a questo punto che mi arrabbio con me stessa per non aver saputo sfruttare il tempo che avevo prima a disposizione. 

Qualcuno riderà, per questo. Non io. Me ne dolgo parecchio.




lunedì 6 giugno 2022

PAURA. IGNORANZA. OTTUSITA’

La PAURA. È senz’altro la peggior compagna di viaggio, in ogni circostanza.

Voglio essere presuntuosa e pretendo di aver capito perché mi sia capitato “la cosa” (non riesco ancora a nominarla, ci vorrà ancora un po’). Il fatto è che non sapevo apprezzare e mi sotterravo sotto paure inutili. Quando non c’erano motivi oggettivi per aver paura, li inventavo.

Insieme alla Paura, viaggia l’IGNORANZA. Pretendere di sapere di più di chi mi sta di fronte, in barba al suo sapere, alla sua esperienza, persino ai suoi studi!

E riesco pure a stupirmi quando, dopo ore e giorni di pensieri sconnessi e funesti mai interrotti, arrivo alla meta così come mi era stato prospettato proprio da coloro verso i quali non avevo nutrito alcuna fiducia.

Infine, l’OTTUSITA’.

Questa triade viaggia sempre in cabine triple e non ammette altri compagni, perché è sicura e forte della propria superiorità. E quello che la rende maggiormente pericolosa è il fatto che viaggi su un treno senza controllo e al pieno della sua velocità.

L’impatto provoca inevitabilmente danni irreversibili.




sabato 4 giugno 2022

Noi siamo...

No. Non è vero che ci abituiamo all’idea di essere come macchine, pezzi intercambiabili.

Noi siamo gelosi del nostro corpo, gelosi di ogni parte di esso. E anche se spesso, troppo spesso, lo critichiamo, in una parte o in un’altra, in segreto le adoriamo.

È proprio qui che sta l’essenza della difficoltà di cogliere quello che siamo veramente.

Noi non siamo capelli lunghi, folti, lucidi.

Noi non siamo una mano, un braccio.

Noi non siamo labbra.

Noi non siamo un seno.

Non siamo nemmeno le nostre parole.

Noi siamo le nostre Azioni e il nostro Cuore, perché il cervello gioca pessimi scherzi, mentre il cuore ti fa provare emozioni sulle quali noi non possiamo agire: è qui che ci riveliamo per quello che siamo veramente.

Se il cuore ha paura, tu sei paura; se il cuore prova compassione, tu sei compassione.

Se il cuore prova rabbia, invidia, allora tutte le parola che potrai dire a mascherare serviranno a poco.



venerdì 3 giugno 2022

4 maggio

La prima volta in cui le gambe non mi hanno retto è stato quando, all'ospedale in cui avevo partorito il mio ultimo figlio, mi dissero che non sapevano dirmi se il bambino fosse maschio o femmina. Questa conversazione monodirezionale avvenne 72 ore dopo il parto.

Caddi ancora di faccia quando la sua pediatra di allora, all’alba dei suoi diciotto mesi, mi disse con noncuranza di portarlo da un neuropsichiatra, visto che non camminava ancora. Nessuna spiegazione in più.

Anche quella fu una conversazione, anzi una comunicazione, a direzione unica, nella quale non trovava posto il mio sentire fatto di paure e dubbi.

Il 2022 sembra dedicarsi, invece, a me: carcinoma al seno destro.

Faccio fatica ancora a dirlo, a nominarlo, figuriamoci a scriverlo, a renderlo obiettivamente esistente.

Insomma: faccio fatica a credere che sia capitato.

Non voglio dire che a me non dovesse capitare “perché io sono io e voi non siete un cazzo”.

Il mio più grosso errore è stato sprofondare in letture amene su trattati di medicina, chimica, financo chirurgia, dei quali non ho capito un’emeritaceppazza.

Non si leggono le cose scientifiche se non hai la preparazione per capirle!!!

Questo, forse, sarà il tatuaggio che mi farò sulla mano destra, quella che mi capita più spesso di incrociare con gli occhi.

Quindi, ora ho una macedonia in testa, e la macedonia, se non è di frutta, genera paura e la paura mi fa andare nel panico.

La paura mi ha fatto iniziare a vivere come sospesa: la mia sensazione è quella di non avere più tempo; è quella che qualunque cosa io faccia, non abbia senso alcuno.

Ma soprattutto, sono arrabbiata con me: per aver investito energia in tutto quanto ora non può essere altro se non inutile.





 

sabato 9 aprile 2022

Perchè sorrido

Proverò a rispondere a chi mi ha detto “Non si può sempre sorridere, perché non va sempre tutto bene”.

Ricordo ancora uno dei miei primi impieghi.

Mi ero diplomata da poco al liceo linguistico e stavo frequentando l’Università, Scienze Politiche, e mi capita di incappare in una persona che mi presenta all’anziano proprietario di una ditta di nicchia della collina di Torino.

Era in un posto trafficato ma sperduto allo stesso tempo, e per arrivarci, coi mezzi pubblici ci mettevo un’ora. Se c’era sciopero, cazzi miei.

Mi fecero un colloquio e mi assunsero subito a tempo indeterminato: gli ero piaciuta.

Non sapevo fare nulla di quel lavoro e le impiegate che mi dovevano formare non avevano voglia né tempo. I tecnici del laboratorio erano simpatici.

A pranzo, due ore di pausa e sparivano tutti: chi a casa, chi con i colleghi più “intimi”.

Per me erano due ore in cui non sapevo che fare.

Non potevo restare all’interno della ditta, perché chiudeva, dunque dovevo cercarmi un posto dove almeno studiare per preparare gli esami che continuavo a dare.

Durai ben poco. Non perché non avessi imparato o non volessi farlo. Ma mi rendevo conto che quando entravo lì, anzi, già quando scendevo dall’autobus, sulla strada senza un briciolo di riparo, sentivo l’angoscia assalirmi.

Avevo ventuno anni e vivevo ancora coi miei.

Avevo due strade davanti: la sicurezza del posto, con un futuro già segnato dalle convenzioni; oppure, la sorte.

Scelsi di scegliere. Andai dal figlio del proprietario e gli dissi che non ce la facevo a continuare, non era quello che volevo. Glielo dissi morbidamente, con qualche accenno di sorriso.

Lui si incazzò.

Poi mi convocò il padre anziano. Mi disse che gli ero piaciuta sin da subito perché lo facevo ridere. E mi disse anche che facevo bene ad andarmene. Io, tanto, ormai avevo già deciso.

Il bilancio fu: due incazzati (il figlio + la persona che mi aveva portato alla ditta e che disse che le avevo fatto fare una figuraccia) e uno felice di avermi conosciuta.

Altra storia, più vicina.

Pandemia.

Non ho abbracciato da subito il principio della Resilienza, ho mantenuto invece una certa Resistenza.

Mi sono imposta di chiamare gli amici cari perché temevo che l’isolamento ci azzerasse i sentimenti.

Una volta, una mia cara amica mi ha detto: “Meno male che ci sei tu, che mi fai ridere”

Mi chiesi, allora: possibile che una persona timida e schiva come me, fosse capace di mostrarsi agli altri con la disinvoltura che serve per farli ridere senza risultare ridicola?

Che fosse quello il mio scopo?

Non lo so. Però adesso sono felice.

Per questo, mi sveglio e mi metto un sorriso sulle labbra. E sorrido alla gente che incontro. E cerco sempre il lato positivo. E provo sempre ad allentare le tensioni. E cerco sempre un modo per risolvere i conflitti, anche quando non mi riguardano. Anche quando non ho nulla per cui sorridere..

Ed è sempre per questo che cerco di stare lontana dalle situazioni tossiche.




domenica 27 marzo 2022

Riflessione ricorrente sul Senso di Colpa.

Il Senso di Colpa è un accessorio molto di moda, non soggetto a saldi: si tratta, infatti, di un articolo continuo.

Grazie alla sua ampia versatilità, esso si abbina perfettamente ad ogni tipologia di outfit, sia esso casual o chic, e veste ogni stagione (anche quelle mezze che non esistono più).

Il suo Target si divide in due: quelli che lo considerano un must have e quelli che, loro malgrado, vorrebbero evitarlo.

E proprio a questi ultimi, generalmente fan del mood “vivi e lascia vivere”, il Senso di Colpa normalmente giunge inaspettato tra capo e collo, e lascia emozioni simili a quelle di un mignolo che si frantuma contro uno spigolo.

Viene gentilmente “regalato”, senza bisogno di particolari occasioni, da quelli della prima categoria, ossia da quelli che il mood “vivi e lascia vivere” non sanno nemmeno cosa sia.  

Tutte queste dinamiche non sarebbero un gran problema, se restassero giochi fini a sé stessi.

Lo diventano, invece, quando iniziano ad andarci di mezzo stomaco e testa e cuore di chi ha un ego dai tratti, diciamo così, sensibili.

Ma siccome è bello vivere tutti insieme, ed ognuno di noi ha sempre qualcosa che giustifica un proprio comportamento, sia esso più o meno piacevole, credo che la soluzione sia una sola…ma non ve la dico, poiché ognuno ha la propria!

La mia, comunque, è sempre “vivi e lascia vivere”.




martedì 8 marzo 2022

8 Marzo lungo un anno

Oggi si parla di donne. Ieri no. Domani neanche. Anzi, mi correggo: se ne parla, ma come se fossimo, ahimè, una specie in via d'estinzione, un bersaglio facile di botte e offese, un oggetto da riporre in vetrina perché siamo troppo delicate.

Allora oggi ci sommergeranno di mimose, che ci procureranno un gran mal di testa. E magari ci porteranno anche a cena fuori. Poi domani: spesa, pranzi e cene da preparare, casa da riordinare, lavoro. Dai che la festa è passata!

Oggi si parla delle donne Ucraine: sono all’improvviso diventate simbolo dell’8 marzo.

Ieri le ignoravamo. Domani tornano ad essere sconosciute.

Oggi ancora si parla delle lotte femministe, delle grandi donne della Storia, delle disparità.

 

Sarebbe curioso, addirittura divertente, se l’8 marzo diventasse il momento per fare gli auguri solo a tutte quelle donne che non si tirano indietro quando c’è da criticare gratuitamente un’altra donna.

Oppure a tutte quelle donne che hanno discriminato un’altra donna per una maternità, per una difficoltà e per qualsiasi altro motivo.

Oppure ancora a quelle donne che si voltano dall’altra parte di fronte ai pericoli vissuti da un’altra donna.

Sarebbe un’occasione di crescita collettiva, nell’ottica del pensiero positivo che vede il cambiamento come qualcosa che deve partire da NOI.

 

Siamo NOI Donne che dobbiamo fare squadra, contro le disuguaglianze salariali e le discriminazioni sul lavoro.

Siamo NOI che dobbiamo metterci in gioco per dare un’impronta alla vita pubblica.

Siamo sempre NOI a dover smettere di aspettarci dagli altri quel rispetto che a volte nemmeno noi ci riserviamo.

Voglio terminare, però, con un raggio di luce: TU, perché sei speciale, anche se te lo dimentichi o te lo fanno dimenticare; anche se ti assalgono i sensi di colpa.

Anche se a volte ti pare di soffocare.

 

A TE, sì proprio a TE, che stai leggendo ora e ti stai chiedendo se ti stia parlando, perché vuol dire che hai colto il senso delle mie parole, auguro un buon 8 marzo lungo un anno intero di rispetto, soddisfazioni personali e lavorative, orgoglio, amore, affetto, lucidità, de tutto quello che desideri.

 

venerdì 4 marzo 2022

FOTO IN METRO: UN ESERCIZIO DI COMPRENSIONE

Quando guardo le immagini di una pubblicità, mi piace andare oltre la superficie, ossia oltre il senso della vista, e immaginare come e perché sia stata pensata in quel modo da chi l’ha studiata e poi realizzata. 

Mi piace immaginare gli istanti prima e dopo lo scatto; cosa si desiderasse evocare con una certa scelta piuttosto che con un’altra angolazione…

In metro in questi giorni è giunta sui roll up pubblicitari una specie di pubblicità progresso che riguarda, ahimè, la guerra in Ucraina.

Oltre che commovente, l’ho trovata subito molto interessante da diversi punti di vista. Ve la descrivo.

Abbiamo due soggetti, un uomo e una donna. La donna indossa la bandiera russa, mentre l’uomo quella ucraina.

Riflettiamo insieme: la Russia è la parte che attacca, l’Ucraina quella che subisce.

È chiaro che con questa scelta di immagine si è voluti andare oltre lo stereotipo della donna come parte debole della mela, o di qualsivoglia frutto (che poi, proprio la mela??? Di tutti i frutti, il meno gustoso e dolce e delizioso è proprio la mela!!! Ma perché scegliere la mela per rappresentare la coppia??? Per la storia di Adamo ed Eva? Gli Adami ancora ce l’hanno con noi Eve perché gli abbiamo fatto fare una figuraccia davanti a Dio, ma non si rendono conto che…vabbè, questa è un’altra storia, la approfondiremo la prossima volta).

E poi, c’è la questione della mano visibile della parte maschile: la voglio vedere come una volontà di sorpassare l’aggressione subita. La parte lesa ha teso una mano e anzi, con la stessa, tiene le mani della parte che l’ha attaccata.

Poi il contorno: mi sembra di intuire che i due soggetti siano stati ripresi in uno spazio molto ampio, che mi ricorda un palazzetto sportivo, e dietro ci sono sicuramente delle altre persone. Quindi: nessun contesto intimo.

Mi sembra di sentirla la folla dietro: vociante, allegra magari. Questa foto deve essere stata scattata in un contesto certamente rumoroso. Ma i due ragazzi sono in silenzio, concentrati uno sull’altro.

Ora, proviamo ad andare oltre la vista: come immaginiamo il prima e il dopo?

Come abbiamo detto, non siamo in un momento di intimità, siamo anzi in mezzo alla folla.

Quindi, io mi immagino questi due ragazzi come due amici, che si sono prestati allo scatto. Un attimo prima sono lì a scherzare, e un attimo dopo tornano a farlo, con le distanze tipiche degli amici.

Oppure sono sentimentalmente legati, e dunque sono riusciti a ritagliarsi uno spazio unico di intimità anche in un momento di caos.

Ora provo a fare un ulteriore esercizio: come immagino la loro vita di tutti i giorni?

Sono giovani e sono in un palazzetto sportivo: allora immagino che si tratti di due studenti dediti anche allo sport a livello agonistico, che in quel momento stanno partecipando a competizioni che magari vedono tra i partecipanti la loro scuola; indossano abiti casual, dunque li immagino abitare in città; li immagino impegnati a scuola e poi con gli amici condividere i momenti liberi.

Scendo le scale per prendere il mio treno e quasi mi pare di averli conosciuti davvero, questi due ragazzi!  

E mi domando se un esercizio come quello ho ho appena inventato io, di investigazione approfondita, possa avere anche un'utilità, oltre quella di farmi immaginare contesti e situazioni che on conosco.

Certo, imparare a guardare oltre la superficie rimane lo strumento più utile per comprendere: su questo non ci sono dubbi. 

Quindi, mi chiedo: quanto andiamo oltre la superficie nelle nostre relazioni? 

Che significa: quanto ho voglia di comprendere chi mi sta di fronte?




giovedì 17 febbraio 2022

Giudici & Giudizi

Il problema di questi nuovo secolo, questo secolo che vive e si sviluppa interamente nell'etere in ciò che non esiste veramente, sono i Giudici. Ma non i Giudici intesi come Magistrati, insomma, quelli che hanno studiato Giurisprudenza. 

No.

I Giudici dell'ultima ora, quelli che sanno sempre tutto; quelli che sono certi di essere sempre nella posizione corretta e, ovviamente, di essere i migliori di tutti gli altri; quelli che non si mettono mai in discussione e pare che guardino il mondo intero da sopra il loro piedistallo.

Però, c'è un però.

Alzi la mano chi di noi non ha mai, MAI, proprio MAI MAI indossato i panni del giudice di qualcun altro. E non vale addurre la pseudo-giustificazione "E però lui/lei ma ha offesa, mi ha fatto stare male,..."

No.
Io ho intrapreso una mia piccola-grande battaglia personale: sensibilizzare le persone verso il linguaggio decisamente offensivo, che vede l'utilizzo di termini dell'ambito delle invalidità, per offendere o deridere.

Bene. Brava!

Ma il limite con il giudizio, anche nel caso di iniziative tanto pregevoli, è molto sottile: anche il corro il rischio di giudicare, dunque.

E se lo faccio, non me ne rendo conto? 

Oppure, tacitamente, mi giustifico?


Beccatevi la puntata sui Giudici e Giudizi della mia Serie IGTV: https://www.instagram.com/p/CZ2IfeVlXfa/




martedì 15 febbraio 2022

STEREOTIPI E ALTRE AMENITA'

 

Oggi la mia vicina di casa, una mamma come me, mi ha chiesto come andasse con l’ansia.

Subito, non ho capito, ma poi lei mi ha spiegato che si riferiva alla puntata sulle forme dell’ansia.

Ecco: questo mi ha dato conferma del fatto che allora i miei deliri in diretta instagram non sono del tutto inutili! Risultano piacevoli e, perché no, riescono ad alleggerire il fine giornata e i pensieri.

Tanti sono i pensieri che nascono e fanno le capriole in testa e poi nello stomaco, perché tante sono le sollecitazioni ricevute e, mi sento di dire, tutte positive.

Si è parlato tanto di stereotipi, in quest'ultimo periodo, e allora vorrei fare un esercizio: quanti e quali sono gli stereotipi, che fanno ormai ahimè parte della nostra vita e del nostro parlato?

Sono certa che, più spesso di quanto pensiamo, usiamo figure, magari sotto forma di battuta, che possono risultare indigeste per altri.

Un esercizio utile è quello di elencarli per provare poi ad eliminarli dal nostro parlato..

Il guaio è che potremmo scoprire che anche noi ne usiamo o ne pensiamo tanti, troppi.

Un altro tema di cui si è tanto ultimamente parlato è l’accoglienza dell’altro, al di là delle apparenze.

Ma, non raccontiamoci frottole: questa dell’accoglienza continua ad essere una favola. Bella, ma pur sempre una favola.

Quante volte non ci siamo sentiti accolti noi, è vero.

Ma quante altre, invece, non siamo stati capaci di accogliere noi per primi?

Che fare, dunque?

Cospargersi il capo di cenere e pentirsi?

Struggersi perché non ci hanno accolti a braccia aperte?

Il cambiamento, se lo vogliamo vedere, deve sempre partire da noi, qualunque sia la situazione.

Dunque, cominciamo NOI per primi, ad accogliere NOI, le nostre debolezze.

Facciamoci caso: quando non riusciamo a sopportare qualcuno, spesso è perché quel qualcuno ci ricorda ciò che in noi definiamo difetti.

Perdoniamoci di più, per accogliere ciò che consideriamo sbagliato in noi, e di conseguenza riusciremmo ad accettare i difetti altrui.

Che poi: ciò che a me sembra un difetto, per qualcun altro potrebbe essere un pregio. Tutto è relativo!

Il risultato finale dovrebbe essere il superamento di un grande freno, il freno-motore dei rapporti umano: il risentimento.

venerdì 28 gennaio 2022

Le forme dell'ansia

 Diciamo sempre “Sono IN Ansia”, come se fosse un luogo fisico, quasi una stanza.

“Dove sei?”

“In camera mia” no “In Ansia”

Se fosse una stanza, sarebbe davvero piccolina, secondo me, perché se fosse bella ampia, magari con una terrazza che affaccia sul mare, io ci starei da Dio, altroché!

Invece, deve avere proprio un aspetto di merda, diciamolo.

La mia è sporca, con pochi mobili; semibuia; con la carta da parati tutta strappata (io odio la carta da parati). Insomma: triste.

Gli ambienti in cui viviamo hanno un peso sulle nostre sensazioni: stimolano i nostri pensieri e ci fanno vivere al meglio le nostre emozioni. E poi, tutto si traduce in un benessere anche fisico.

Il luogo, però, non ti abbandona: sei tu che devi decidere di lasciarlo.

E se, dunque, la prima mossa fosse quella di smettere di vivere l’ansia come un luogo, per considerarla come un possesso?

Non più “Sono IN ansia”, bensì “HO l’ansia”

A quel punto, potremmo decidere di non volerla più, di lasciarla, di perderla. 

Magari ce la rubano, al posto del portafogli.




 

venerdì 21 gennaio 2022

DEVIAZIONI E SCAMBI FERROVIARI

Ci siamo lasciati settimana scorsa con un punto fermo, che più fermo non si può: il tempo che passa.

Questo treno, inesorabile, a volte è un accelerato, altre è una tradotta scassata.

Durante questi giorni ho provato a riflettere, ahimè, proprio sugli effetti di questo avanzare.

È a questo punto che dico “AHIME?”.

Allora, innanzitutto, ho preso coscienza di un altro punto fermo che avevo sempre dato per scontato, ma sul quale per la prima volta ho fermato l’attenzione: noi non abbiamo controllo sul fatto che scorra, ma soltanto sul modo in cui lo fa.

“Bella scoperta” direte voi!

È la scoperta della famosa acqua calda, quel genere di scoperta per la quale dobbiamo ringraziare la dottoressa Grazia …a voi il cognome

E dunque, Cuoricini miei, qui si colloca subito un’altra riflessione, proprio sul tema con cui ho iniziato questa nuova serie sui nuovi propositi per questo anno: come lo investiamo il nostro tempo?

Siamo soddisfatti dell’impiego dedicato?

Ed è a questo punto che mi interrogo su quali potrebbero essere quegli ostacoli, quelle deviazioni che mi figuro come degli scambi ferroviari che fanno scattare il cambio dei binari, indipendentemente dalla nostra volontà: le ANSIE, le ABITUDINI MANIACALI.

Possiamo considerarle come tali?

Oppure sono talmente parte di noi che abbiamo finito per integrarle alla perfezione e accettarne l’impiego di tempo e impegno che esse richiedono?

Quali sono le vostre deviazioni, i vostri scambi ferroviari?




venerdì 14 gennaio 2022

L'AUTORITRATTO

Allora, ho provato a fare un autoritratto… e sono uscita vecchia!

Eppure, assicuro di aver seguito punto per punto ogni tratto, tutte le linee del viso, dei contorni, dei tratti interni (leggi: rughe!).

E ho capito che stava proprio lì il problema: la realtà, evidentemente!

Solo che io mi vedo ancora … diciamo… venticinquenne.

Quello è stato l’ultimo compleanno festeggiato con gli amici storici, prima che le vite di maggior parte di noi prendessero la propria forma solida, diciamo.

Ora la Domanda: perché non sono riuscita a catturare la mia immagine?

Non è che io abbia studiato alcunché di tecnica di disegno; quindi, questa potrebbe essere la spiegazione più plausibile.

Tuttavia, credo proprio che la reale questione sia che io, e solo io, non voglio vedere il tempo che passa.

Anzi, che è già passato.

Probabilmente, se ci pensassi, temerei di dover riconoscere di averne perso un po’ senza realizzare qualcosa

martedì 4 gennaio 2022

IL CAPODANNO SECONDO TE

Il Capodanno Masterchef

Il Capodanno Masterchef si inizia a festeggiare già al supermercato, mentre fai la spesa. Così, mentre ordini il pesce, pensi pure a quando friggerlo, senza che pelle, capelli e anima ti si riempiano di fragranza di fritto misto. Normalmente, opti per cucinare nuda e con la cuffia da doccia in testa. Mentre scegli il vino e lo spumante, invece, già ti immagini ubriaca, che balli e fai il trenino tra la cucina e il salotto, coi figli che ti guardano increduli e il marito, incredulo pure lui, che già pregusta la nottata.

 

Il Capodanno Invitato

Se invece sei ospite e hai la fortuna di essere invitata davvero a cena, e non a quei party in stile “pranzo al sacco”, oppure ceni al ristorante, ti alzi lo stesso alle sei come chi deve preparare il cenone - come quella sfigata che ti ha invitato - ma solo perché hai ancora mille faccende da sbrigare assolutamente entro il 31 dicembre, tipo: salutare le amiche, perché poi sia tu che loro partirete chi per Marte chi per Plutone e non vi rivedrete mai più; salutare i genitori e assicurarsi che non passino l’ultimo dell’anno da soli (poi magari gli altri giorni chissene); fare la spesa per i giorni a venire, perché non sia mai che gli avanzi non bastino; cambiare i letti; spolverare; lavare ogni superficie lavabile; dare il bianco; infine, e solo infine, darsi o farsi dare lo smalto.

Nota bene: tutte queste cose le fanno anche quelle sfigate di cui sopra, quelle che hanno invitati a casa propria; solo che queste ultime le faranno rigorosamente dopo la loro personale prova di Masterchef; quindi, verosimilmente lo smalto ce l’avranno un dito sì e uno no, per via del tempo effettivamente rimastogli.

 

Il Capodanno Intellettuale

L’Intellettuale aspetta la Mezzanotte in compagnia di un BUONLIBRO (tutto attaccato, sono i migliori) e con il sottofondo di una musica da camera che farebbe addormentare pure gli iperattivi. È solo, o con poca compagnia altamente sezionata: niente rompicoglioni intorno che propongano la diretta TV di Rai 1 per seguire meglio il conto alla rovescia, o addirittura una tombolata. Anzi: se gli nominate la Tombola, l’Intellettuale ve ne illustrerà le origini e l’evoluzione nel mondo, ma senza metter mano alle monetine. Quando finalmente arriva la Mezzanotte, l’Intellettuale, se è ancora sveglio, festeggia sorseggiando del BUONVINO (sempre tutto attaccato) e poi comincia a tirar fuori dagli scaffali della propria libreria tutti i volumi in essa contenuti e a lanciarli in alto con aria di festa: così, con l’occasione farà l’inventario e getterà via dalla finestra, in un impeto di follia volgare, quelli che non vuole più.

 

Il Capodanno Single

Il Capodanno da single non esclude le prime tre versioni precedentemente descritte: puoi tranquillamente essere single Masterchef, single Invitato, single Intellettuale. Oppure, puoi altrettanto tranquillamente essere single e basta. E allora, avrai due obiettivi, per la notte di Capodanno: oltre all’obiettivo facilmente intuibile, ci sarà quello di DIVERTIRSI. DI-VER-TIR-SI. Assolutamente-sempre-comunque, e tutti gli altri avverbi che vorrai metterci. La serata sarà probabilmente in compagnia di altre coppie e a Mezzanotte scatterà il momento bacio-limonata, ma tu assolutamente-sempre-comunque riderai, e berrai, e salterai e piroetterai e ballerai sempre ridendo, in compagnia di te stesso, finchè pure te stesso, magari, ti lascerà per prendere aria un attimo, fare due parole con gente più equilibrata, e poi tornare a recitare la parte, se è quello che stavi facendo. Buon anno!

 

Il Capodanno con figli

Tirare fino alla mezzanotte sembra cosa facile, ma non lo è. O meglio: lo è quando hai vent’anni e fino a che vivi sotto lo stesso tetto dei tuoi genitori che, si sa, sono sempre stati vecchi, anzi sono nati vecchi e noiosi. Quando poi l’Amore, la Natura, il Fato, la Sfiga vogliono che sia tu a diventare genitore e, dunque, ad intraprendere quella strada inesorabilmente in discesa verso la noia e la vecchiaia, allora ti renderai conto che quei poveri disgraziati dei tuoi genitori non erano né vecchi né noiosi: erano solo stanchi. Stanchi di sentirsi dire “Ho fame, ma quando si mangia?”, “Quando arrivano i nonni?” “Giochiamo a tombola?” “Voglio tirare i mini-ciccioli” “Papà, un petardo è finito nella tazza del water” “Ma quando è mezzanotte?”- alle sette di sera - “Io ho sonno!” – alle dieci - “Io ho fame, ma anche sonno, ma più fame: voglio la pasta!” – alle 11, che ormai in tavola c’è solo più il pandoro – “Io non ho sonno!!” – alle due di notte, quando ormai i festeggiamenti sono andati. Il capodanno con i figli, normalmente si compone di due parti: la prima, quella coi figli svegli, in cui mangi presto, come al solito, fai due giochi di società, ti guardi un film e hai ancora il tempo di appisolarti sul divano sentendo il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica; la seconda, quella dopo che i gagni sono andati a dormire: allora corri a lavarti la faccia per toglierti il torpore del divano, ti infili il tacco, ti versi un bicchiere di spumante, e cerchi così, coi capelli un po’ storti e il trucco appena abbozzato, di recuperare il tempo andato: quel capodanno a Vienna, o quell’altro a Parigi. Poi ti volti, e tuo marito è rimasto in tuta e con le pantofole. Va bhe: dai usciamo sul balcone, chiudiamo gli occhi e baciamoci, che fuori ci sono i fuochi. Speriamo solo che i bambini non si sveglino proprio adesso…

 

Il Capodanno dopo i figli

Il mood del Capodanno dopo i figli, ossia con i figli ormai grandi e autonomi, è lo stesso del Capodanno Single: DI-VER-TIR-SI, assolutamente-sempre-comunque, ma in due. Così l’effetto è duplicato: doppio “riderai” “berrai” “salterai” “piroetterai” “ballerai”; e in questo caso, non farete due parole con gente più equilibrata, perché non ve ne fregherà più niente della gente equilibrata.




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