Proverò a rispondere a chi mi ha detto “Non si può sempre sorridere, perché non va sempre tutto bene”.
Ricordo ancora uno dei miei primi impieghi.
Mi ero diplomata da poco al liceo linguistico e stavo
frequentando l’Università, Scienze Politiche, e mi capita di incappare in una
persona che mi presenta all’anziano proprietario di una ditta di nicchia della
collina di Torino.
Era in un posto trafficato ma sperduto allo stesso tempo, e
per arrivarci, coi mezzi pubblici ci mettevo un’ora. Se c’era sciopero, cazzi
miei.
Mi fecero un colloquio e mi assunsero subito a tempo
indeterminato: gli ero piaciuta.
Non sapevo fare nulla di quel lavoro e le impiegate che mi
dovevano formare non avevano voglia né tempo. I tecnici del laboratorio erano
simpatici.
A pranzo, due ore di pausa e sparivano tutti: chi a casa,
chi con i colleghi più “intimi”.
Per me erano due ore in cui non sapevo che fare.
Non potevo restare all’interno della ditta, perché chiudeva,
dunque dovevo cercarmi un posto dove almeno studiare per preparare gli esami
che continuavo a dare.
Durai ben poco. Non perché non avessi imparato o non volessi
farlo. Ma mi rendevo conto che quando entravo lì, anzi, già quando scendevo
dall’autobus, sulla strada senza un briciolo di riparo, sentivo l’angoscia
assalirmi.
Avevo ventuno anni e vivevo ancora coi miei.
Avevo due strade davanti: la sicurezza del posto, con un
futuro già segnato dalle convenzioni; oppure, la sorte.
Scelsi di scegliere. Andai dal figlio del proprietario e gli
dissi che non ce la facevo a continuare, non era quello che volevo. Glielo
dissi morbidamente, con qualche accenno di sorriso.
Lui si incazzò.
Poi mi convocò il padre anziano. Mi disse che gli ero
piaciuta sin da subito perché lo facevo ridere. E mi disse anche che facevo
bene ad andarmene. Io, tanto, ormai avevo già deciso.
Il bilancio fu: due incazzati (il figlio + la persona che mi
aveva portato alla ditta e che disse che le avevo fatto fare una figuraccia) e
uno felice di avermi conosciuta.
Altra storia, più vicina.
Pandemia.
Non ho abbracciato da subito il principio della Resilienza,
ho mantenuto invece una certa Resistenza.
Mi sono imposta di chiamare gli amici cari perché temevo che
l’isolamento ci azzerasse i sentimenti.
Una volta, una mia cara amica mi ha detto: “Meno male che ci
sei tu, che mi fai ridere”
Mi chiesi, allora: possibile che una persona timida e
schiva come me, fosse capace di mostrarsi agli altri con la disinvoltura che
serve per farli ridere senza risultare ridicola?
Che fosse quello il mio scopo?
Non lo so. Però adesso sono felice.
Per questo, mi sveglio e mi metto un sorriso sulle labbra. E
sorrido alla gente che incontro. E cerco sempre il lato positivo. E provo
sempre ad allentare le tensioni. E cerco sempre un modo per risolvere i
conflitti, anche quando non mi riguardano. Anche quando non ho nulla per cui
sorridere..
Ed è sempre per questo che cerco di stare lontana dalle
situazioni tossiche.
Nessun commento:
Posta un commento