Chi sono

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Sono Daniela Spagnolo, Influencer di Gentilezza e Inclusività, Scrittrice di Donne, Blogger, Founder of @kindpowity_bydanielaspagnolo. Nel 2013 pubblico, in self publishing, "Fate Moderne", e nel 2016, sempre nella stessa forma, "La gente perbene e la ragazza del mercato". Nel 2018 esce "Il silenzio del Tempo", edito dalla casa editrice 96-rue-de-la-fontaine. Nel 2021 è la volta di "Dora", un noir dai tratti gotici, pubblicato con la LFA PUBLISHER, che si pone l’ambizioso obiettivo di essere il primo di una serie tutta ambientata nella medesima cittadina. Nel 2022 arriva "Piccolo Diario di una Cicatrice", ancora edizioni LFA PUBLISHER: un libro interattivo per provare a ripartire dalle proprie cicatrici. Vivo a Grugliasco alle porte di Torino (la mia città natale), e sono naturalmente spinta verso l’impegno sul territorio, che nel 2023 trova realizzazione nella costituzione del PRIMO GRUPPO DI LAVORO sulla DISABILITA’ – GRUGLIASCO, che ho fondato insieme ad una cara amica con la quale condivido esperienze di vita. Scopri di più su quello che faccio: linktr.ee/daniela.spagnolo_scrittrice

giovedì 30 aprile 2020

I MAGGIO FESTA DEL LAVORO


Ci siamo addormentati in inverno e così restiamo assopiti, anche ora che è primavera.
E la primavera è arrivata in punta di piedi, ogni tanto frizzante, ma non troppo, quasi a non volerci disturbare o, peggio, deridere.
Ha più rispetto lei, di noi, di quanto noi ne abbiamo mai avuto né per lei, né per noi stessi.
Oggi è il I maggio, un giorno rosso sul calendario e nei cuori.
Oggi piove sulle nostre case, chiuse, e sulle nostre anime, stracciate alcune, addormentate altre.
Oggi doveva essere la festa del lavoro, ma è un giorno uguale a ieri e a domani.
Ricordi si accavallano nelle nostre menti, e fatichiamo a credere al presente, mentre dell’avvenire abbiamo più paura che fiducia.
Difficile essere positivi, eppure…
Eppure la Primavera è arrivata, ed ha avuto riguardo e gentilezza per noi.
E arriverà anche l’estate, spumeggiante e arrogante, e poi l’autunno scontroso e poi un altro inverno, sfuggente.
Le feste, le proteste, sono sovrastrutture magari vecchie, magari confuse, magari fuorvianti.
Ci vuole adeguamento e non adagiamento.  
Che abbia ancora un senso, dopo tanti anni di assenza, e ora più che mai, una festa “del lavoro”?
Non avrebbe forse più senso una giornata per celebrarne l’assenza, l’inadeguatezza, le diverse forme di sfruttamento mascherate da contratti per le nuove generazioni, o la mancanza di paracaduti sociali per chi è troppo vecchio per lavorare e troppo giovane per non farlo più?
Forse, se ce lo sbattessero in faccia almeno una volta all’anno quanto questo lavoro manca o quanto sia sottopagato o svilente o vicino alla parola “schiavitù”, ecco forse almeno per un giorno saremmo costretti, tutti, a pensarci. Tutti, anche quei pochi lavoratori che stanno al caldo, ormai, e non ricordano più certi freddi anche in piena estate.
Buona festa del Lavoro, ancora una volta.

lunedì 27 aprile 2020

NO!


Non appena  ho scoperto che sarei diventata mamma per la prima volta, il mio cervello si mise in modalità “apprendimento ossessivo compulsivo”: ossia, aveva deciso che entro i nove mesi io avrei dovuto imparare ed assimilare tutto ciò che le Donne avevano incamerato sì e no a partire dalla nascita del mondo, o giù di lì, sino ai giorni nostri.
Mi procurai e lessi ogni genere di libro di puericultura e che affrontasse il nascituro da ogni punto di vista: la nascita, l’attaccamento alla madre, le prime malattie comuni, quelle meno comuni, quelle rare, quelle non ancora scoperte; i dentini, la diarrea; i sorrisini, il sonno e i giochi, passando dall’ allattamento al seno ad oltranza, pure fino alla maggiore età, fino alla figura del padre usata come carta da parati di fronte a queste madri-matrone onniscenti e preveggenti.
Fu così, ad esempio, che mi feci, grazie ad un apposito saggio, una grande cultura sul sonno e sulla sua gestione, regalandomi, dopo le innumerevoli notti insonni fatte di pianti e strilli dei primi tempi, altrettante notti insonni fatte sempre di pianti e strilli. L’unica differenza era che le prime notti insonni erano inconsapevoli, mentre le seconde erano state liberamente decise da me.
La cosa meravigliosa era, e continua ad essere, una: non appena arrivo a completare un livello di questo gioco, ecco che se ne sblocca un altro e devo ricominciare da capo. Il che significa, che non appena riesci, in mezzo al tuo rincoglionimento cronico, a capire le regole della prima infanzia, ecco che ti accorgi che il pupo ha l’età per frequentare in maniera costruttiva altri bambini e … hop! È saltato dall’altra parte del suo primo steccato della vita: la Socialità.
Tuo figlio è il migliore di tutti, ma come farà ad abbassarsi al pari degli altri?? È un’ingiustizia. Eppure la devi sopportare, e così sospiri, mandi indietro le lacrime di orgoglio, e lo mandi alla Scuola Materna, pardon, dell’Infanzia, come tutti gli altri.
Sarà difficile, ma realizzerai che anche gli altri bambini riescono a scaccolarsi con nonchalance proprio come il tuo royal baby, e che anche gli altri fanno la cacchetta puzzolente come il tuo. Questa cosa ha dell’incredibile.
Dunque, superato il primo momento di stupore, e realizzato che tuo figlio, quello Royal, in realtà è un cazzo di teppistello col pannolino, arriva per te, neomamma col master, il momento più difficile: quello dell’educazione alla Convivenza.
Arriva dunque, il momento in cui bisogna scardinare dalla testa del suddetto Royal Baby l’idea, seminata perlopiù dagli amorevoli nonni, che lui sia il Re di tutti e che tutti siano i suoi sudditi, e dunque che non può sempre ordinare qualcosa perché quel qualcosa effettivamente gli arrivi. Insomma, arriva il tempo di una parolaccia, triste, nera, maleodorante, fastidiosa: NO.

Personalmente ho scoperto una grande e inaspettata verità: nel rapporto genitori-figli il NO fa più male a chi lo dice.







giovedì 23 aprile 2020

ASPETTATIVE


  
"ASPETTATIVA
sostantivo femminile
Attesa: essere, stare in a.; la nostra a. non è stata delusa, a proposito di un fatto vantaggioso a lungo desiderato, auspicato; quindi, previsione (per lo più ottimistica)"


La fregatura è ben esplicitata in mezzo alle parentesi.
Normalmente accade, sicuramente anche a te che stai leggendo, siete tantissimi non posso nominarvi tutti (sic!): vedi un tipo o una tipa, ti piace, inizi a frequentarlo, te ne innamori e…zac, cominci inconsciamente a idealizzarlo, secondo i tuoi canoni di perfezione, che possono variare da uno all’altro, ma raramente prevedranno, che so, che il partner perfetto si scordi un compleanno, o che risponda male quando gli girano. Quando non c’è di peggio, ovviamente, ma quello è un discorso che merita un post a parte e io non so se sarei in grado.
Ecco, le aspettative normalmente sono fatte di fette di prosciutto che ti devi sistemare ben bene sugli occhi, e là restano, finchè non vanno a male. 
Ad un certo punto puzzano un pochino, ma tu non ci fai caso, te le togli un attimo per sventolarle un po’ e fargli prendere aria, ma stai attento a tenere bene bene gli occhi chiusi, e poi te le risistemi meglio. E continui ancora, finchè, mefitiche e rinsecchite, le amabili fettine di prosciutto non si staccano e cadono. 
E allora lì son dolori. Vedi tutto per come è. 
Vedi che quello che fino a ieri era il tuo sogno realizzato, oggi è il più banale dei progetti; vedi che colui che fino a ieri era il figlio migliore degli altri, oggi non è che un caro ragazzino che vuol vivere anonimamente la propria vita; vedi che quella che fino a ieri era una reggia, oggi non è altro che una scatola in mezzo ad altre scatole; ti vedi e realizzi che quella campionessa di traguardi raggiunti in realtà è ancora alla linea di partenza. E potrei andare avanti all'infinito.
La verità è che le aspettative ti annebbiano la vista e ti avvelenano gli altri sensi.
Ed ecco che mi spiego il perché di questo mio enorme senso di disagio, quando leggo certe notizie.
Aiuti che non arrivano, sostegni alle famiglie che non si capiscono, scuole chiuse fino a bho…
Non comprendo: e le aspettative, allora?
Mannaggia a noi, che ci siamo incantati, che abbiamo creduto veramente che sarebbe cambiato qualcosa.
Perché a me è successo che le aspettative da inguaribile romantica mi abbiano portata a pensare che
ai malati ci pensino gli Ospedali con la O maiuscola, agli alunni ci pensino le Scuole con la S maiuscola, agli anziani ci pensino i Figli, e, soprattutto, che ai cittadini ci pensa lo Stato, con la S maiuscola.
“Ma lo Stato siamo noi”. Certo! E siamo tanti. Ma comunque qualcosa non ha funzionato.
Allora, se faccio un check, capisco che nel mio piccolo ho fatto il mio dovere, come sicuramente tutti. Chi non lo fa costituisce la percentuale fisiologica delle TdC (libera interpretazione).
Allora, benedettissime aspettative, mi spiegate cosa non ha funzionato se tutti abbiamo fatto la nostra parte?
Dov’è che l’ingranaggio si è inceppato?
“In più punti”. 
Infatti: gli Ospedali ci hanno provato, ma sono stati lasciati soli nella tempesta; le Scuole hanno le catene e la differenza la fanno, come sempre, ma in questo caso di più, le singole insegnanti che hanno davvero voglia di metterci impegno, anche a scapito delle proprie famiglie; gli anziani sono stati separati dai lori figli e dai loro nipoti, e magari, ci auguriamo, si salveranno dal virus, ma dentro hanno scavata un cicatrice che fa male e ne farà per sempre. 
Infine, Lui, Noi, lo Stato, granitico nella sua immobilità.
Care Aspettative maledette, qui ci siete andate giù pesante. È un balletto continuo, ma di quelli che vorresti ballare, ma non conosci i passi, tipo quei balli di gruppo che tirano fuori ai matrimoni. A questo punto, ridatemi le fette di prosciutto.
Perché quando leggo i numeri degli anziani morti da soli, DA SOLI, nelle case di riposo, o delle famiglie che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena, o delle code al banco dei pegni come se fossimo in un romanzo di De Amicis, o di certi giornalisti che ancora dividono in due l’Italia, allora avrei bisogno di un etto di prosciutto per occhio e anche per orecchio. Perché certe cose non si possono né vedere né sentire.
Banalmente, è venuta fuori una grande verità: il paracadute delle aspettative deluse è solo lei, la Famiglia, comunque essa sia. Le famiglie stanno facendo da collante, o fisicamente o economicamente.
Le famiglie sono, oggi, l’unica aspettativa non tradita. Sono il cerotto che si sta mettendo sulle ferite emotive, sono il rimedio ad una scuola muta, sono la soluzione al lavoro che non fa entrare gli stipendi. Le Famiglie.
Ci sarà mai un riconoscimento? Questa volta non cedo alle aspettative e già mi dico di no, perché mai c’è stato. Nel Paese cattolico per eccellenza, dove la religione che predica l’amore e ritiene la famiglia una piccola Chiesa, è praticamente la Religione di Stato, le famiglie sono l’ultima ruota del carro. E, ripeto, non intendo identificare le famiglie con la “famiglia tradizionale”, bensì come le persone deputate alla crescita di sé stessi e dei propri cari, punto.
E adesso che dobbiamo iniziare la Fase 2, tanto agognata quanto temuta, alle famiglie non ci pensa nessuno. Perché, in fondo, non si pensa proprio a nessun individuo, questo mi si sta chiaramente manifestando.
Un’analisi ancora più approfondita ci porterebbe ad evidenziare CHI, nel microcosmo della Famiglia, le permetta di lavorare a pieno ritmo senza perdere un colpo, ma credo che ci siamo arrivati già tutti.
Ora più che mai, quel CHI verrà chiamato a fare un ulteriore sacrificio delle proprie aspettative, in questo caso lavorative. 
La persona ritorna ad essere un numero che fa funzionare gli ingranaggi della produttività, in barba ai propri interessi, e alle proprie aspirazioni.
C’è da tirare su in piedi un Paese e lo Stato ci sta dicendo chiaramente “Lo Stato siete Voi”, lavandosene le mani.
Ci si fiderà ancora delle strutture di accoglienza per gli anziani, ci si fiderà ancora del metodo di insegnamento, dopo che abbiamo sperimentato in prima persona anche la cura culturale dei nostri figli, ci si fiderà ancora, insomma, delle realtà istituzionali? Questa domanda me la pongo ora e vorrei che mi rimanesse impressa, per non ricadere nella rete delle ingannevoli Aspettative.




martedì 14 aprile 2020

RISERVATO


È di oggi (ormai ieri) la notizia che a Collegno il Sindaco ha concesso l’apertura dei giardini di alcune scuole, affinchè vengano utilizzati da bimbi autistici e disabili.
Si tratta di un progetto approvato dalla giunta comunale, che prevede che questi bambini possano giocare in assoluta sicurezza.
Subito, proprio “di pancia”, come si dice, mi è sembrata un’idea avveniristica, figlia di un’apertura mentale da pochi.
Solo che poi, quasi subito, sento che c’è qualche cosa che mi convince poco, ma ancora non riesco bene bene a capire di che cosa si tratta.
Rileggo l’articolo di “Cintura Ovest”. Rileggo quello che dice: aprono i giardini delle scuole per bambini autistici e disabili.
“Porca miseria” questo è quello che subito mi viene da dire.
Ma come cazzo si fa, nel 2020 ADM (Anno-Di-Merda, n.d.a) a scrivere una scempiaggine grossa così? Che forse l’autismo non è una disabilità? E allora che cos’è? Uno stile di vita, forse. Un mood. Una moda. No, no, un gender, così fa figo, è da radical chic.
Perché chi scrive articoli, che ha questo compito di divulgare conoscenza, non fa il minimo sforzo di documentarsi, e chi glieli controlla non fa il minimo sforzo di leggerli?
E questa era la prima cosa che mi solleticava la corteccia cerebrale, che in questi tempi è messa a dura prova tra un compito di storia sui Romani e una verifica di geografia sull’Abruzzo e il Molise (e io non sono un’insegnante).
Faccio un profondo respiro, incamero quanta più aria posso, e poi la butto fuori, soddisfatta per aver capito cosa non mi convincesse.
Rileggo l’articolo. Niente, c’è ancora qualcosa che non mi piace.
E dei cosiddetti bimbi “sani”, che ne facciamo? Li lasciamo deprimere tra quattro mura?
Sì, in effetti questa cosa mi fa ancora più incazzare della castroneria di prima.
L'omologazione congiunta alla differenziazione. Ecco che abbiamo applicato il regime delle etichette e dei protocolli di comportamento ad una tipologia di persone che le etichette mal le sopporta: i Bambini, con la B maiuscola.
Come (cazzo) si fa a dire che solo una certa categoria ha bisogno dell’aria aperta?
Come si fa a dimenticare che sono tra poco due mesi che i bambini, tutti, sono reclusi in casa?
Come si fa a passar sopra al fatto che star chiusi in casa, senza un motivo che venga ben interiorizzato da un bambino, genera inevitabilmente delle carenze emotive?
A questo punto, vi esorto a leggere che cosa ha affermato il presidente dell'Associazione Nazionale dei Pediatri, a proposito della relazione tra Covid-19 e Bambini.
Non lo so come si facciano a dimenticare queste cose.
Non lo so perché faccio davvero fatica ad accettare una gestione così fantasiosa della cosa pubblica, faccio fatica ad accettare le differenziazioni, anche se in questo caso, per esempio, giocherebbero a favore di uno dei miei figli.
Faccio fatica a fidarmi di certe mosse, perché non credo siano animate da vero spirito di comprensione e, soprattutto, siano ben avallate scientificamente.
Ancora una volta si è fatta una scelta che penalizza qualcuno.
Il leitmotiv di questa quarantena è “si salvi chi può”: chi ha il computer, chi ha la stampante, chi ha un lavoro dipendente, chi ha i genitori nello stesso comune, chi ha il giardino, chi ha una casa grande, chi ha …
Chi non aveva prima adesso ha ancora meno.
Il confronto, e non la ghettizzazione, aiuta.
Il confronto e non solamente l’aria aperta aiuta.
La pietà non credo sia voluta da nessuno, almeno non da me. Poi, certo, se sei con l’acqua alla gola accetti tutto, e anche io forse lo farei. Ma poi mi fare mille domande, esami di coscienza a gogò, riflessioni.
Vorrei capire davvero come sia stata pensata questa idea, perché se venisse fuori che è stata costruita sulla base del fatto che si tratta di soggetti a scarsa mobilità o scarso interesse per le relazioni interpersonali, allora davvero farei un respiro ancora più profondo di quello di prima. Perché vorrebbe dire che ci si è concentrati, di nuovo, sulle peculiarità delle loro condizioni, senza preoccuparsi di ciò che davvero gli gioverebbe o, banalmente ciò che gli PIACEREBBE.
Non è la ghettizzazione che aiuta, ma la promiscuità.
No, questo progetto riservato ai disabili non mi piace, e lo dice la mamma di un bambino disabile.
Ma tanto la mia posizione non conta un cazzo.






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