Ci siamo addormentati in inverno e così restiamo assopiti,
anche ora che è primavera.
E la primavera è arrivata in punta di piedi, ogni tanto frizzante,
ma non troppo, quasi a non volerci disturbare o, peggio, deridere.
Ha più rispetto lei, di noi, di quanto noi ne abbiamo mai
avuto né per lei, né per noi stessi.
Oggi è il I maggio, un giorno rosso sul calendario e nei
cuori.
Oggi piove sulle nostre case, chiuse, e sulle nostre anime,
stracciate alcune, addormentate altre.
Oggi doveva essere la festa del lavoro, ma è un giorno
uguale a ieri e a domani.
Ricordi si accavallano nelle nostre menti, e fatichiamo a
credere al presente, mentre dell’avvenire abbiamo più paura che fiducia.
Difficile essere positivi, eppure…
Eppure la Primavera è arrivata, ed ha avuto riguardo e gentilezza
per noi.
E arriverà anche l’estate, spumeggiante e arrogante, e poi l’autunno
scontroso e poi un altro inverno, sfuggente.
Le feste, le proteste, sono sovrastrutture magari vecchie,
magari confuse, magari fuorvianti.
Ci vuole adeguamento e non adagiamento.
Che abbia ancora un senso, dopo tanti anni di assenza, e ora
più che mai, una festa “del lavoro”?
Non avrebbe forse più senso una giornata per celebrarne l’assenza,
l’inadeguatezza, le diverse forme di sfruttamento mascherate da contratti per
le nuove generazioni, o la mancanza di paracaduti sociali per chi è troppo
vecchio per lavorare e troppo giovane per non farlo più?
Forse, se ce lo sbattessero in faccia almeno una volta all’anno
quanto questo lavoro manca o quanto sia sottopagato o svilente o vicino alla
parola “schiavitù”, ecco forse almeno per un giorno saremmo costretti, tutti, a
pensarci. Tutti, anche quei pochi lavoratori che stanno al caldo, ormai, e non ricordano
più certi freddi anche in piena estate.
Buona festa del Lavoro, ancora una volta.
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