Chi sono

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Sono Daniela Spagnolo, Influencer di Gentilezza e Inclusività, Scrittrice di Donne, Blogger, Founder of @kindpowity_bydanielaspagnolo. Nel 2013 pubblico, in self publishing, "Fate Moderne", e nel 2016, sempre nella stessa forma, "La gente perbene e la ragazza del mercato". Nel 2018 esce "Il silenzio del Tempo", edito dalla casa editrice 96-rue-de-la-fontaine. Nel 2021 è la volta di "Dora", un noir dai tratti gotici, pubblicato con la LFA PUBLISHER, che si pone l’ambizioso obiettivo di essere il primo di una serie tutta ambientata nella medesima cittadina. Nel 2022 arriva "Piccolo Diario di una Cicatrice", ancora edizioni LFA PUBLISHER: un libro interattivo per provare a ripartire dalle proprie cicatrici. Vivo a Grugliasco alle porte di Torino (la mia città natale), e sono naturalmente spinta verso l’impegno sul territorio, che nel 2023 trova realizzazione nella costituzione del PRIMO GRUPPO DI LAVORO sulla DISABILITA’ – GRUGLIASCO, che ho fondato insieme ad una cara amica con la quale condivido esperienze di vita. Scopri di più su quello che faccio: linktr.ee/daniela.spagnolo_scrittrice

lunedì 16 gennaio 2023

Una mela sarà sempre una mela...?

Una mela sarà sempre una mela; lo stesso sarà una pera, una banana, un caco, un chicco d’uva, e così via.

Tutte, nella loro diversità, compongono un mondo che diventa, così, variegato. Se voglio dolcezza, sceglierò magari una fragola, piuttosto che un’arancia, che invece andrà benissimo per una sferzata di energia o una pausa vitaminica.

Possiamo scegliere, e nessuna di loro si lamenterà.

Ma il vero punto di partenza di questa riflessione un po’ allucinata è un altro.

Durante le vacanze di Natale ho acquistato un cedro. Era gigante e l’ho comprato per dare colore alla tavola.

In effetti, data anche la sua mole davvero notevole, si è fatto notare e lo ha fatto con eleganza.

La sua buccia, gialla fluo, risaltava sui colori natalizi e dava un sentimento di esotico accanto alla frutta secca.

Tutti lo guardavamo, però nessuno osava toccarlo: era il re e là doveva stare indisturbato.

Finite le feste, mi sono decisa ad andare oltre il senso visivo. Mi sono detta: tanto splendore, avrà certamente un segreto di gusto e sapore inimitabili.

Ho affondato il coltello in quella buccia che mi aveva incantata sin da quando l’avevo “incontrato” per prima volta sul banco della frutta.

Sorpresa: non finivo più di affondare! Ho scoperto che la scorza era molto alta. La parte dentro era di un bianco luminoso almeno come il giallo esterno e, soprattutto, sprigionava un profumo inebriante. Si era attivato un senso che, in amore, si dice che vada a braccetto con la vista: l’olfatto.

Normalmente attivato da ormoni che vanno a colpire certi ricettori nascosti e sconosciuti a noi stessi che li ospitiamo, i profumi e gli odori sono in grado di amplificare il sentire e anche di sbloccare i ricordi.

Man mano che procedevo con lo sradicamento della scorza, il profumo aumentava ed era avvolgente; inoltre, come un tesoro, pian piano appariva il frutto interno, celato e custodito come una perla rara e preziosa.

Sentii l’urgenza di liberarlo da quella specie di prigione. Pensai: se i presupposti sono questi, gli spicchi saranno qualcosa di paradisiaco per le mie papille gustative.

Ripulito il nucleo di quella che immaginavo essere una bomba di piacere, non me la sentii di gettare via la scorza: la riposi in un piatto, era troppo bella e profumata per essere buttata via. Meglio attendere.

Mi rivolsi, ora, al frutto: risultava pallido, tirato, in alcuni punti addirittura molto asciutto.

Non era così che me l’ero figurato.

Provai a estrapolare uno spicchio e fu molto difficoltoso. Avevo immaginato che fosse come un’arancia: naturalmente disposta a lasciarsi disgregare per farsi meglio assaporare.

Dopo aver immerso totalmente le dita di entrambe le mani in quella polpa fredda, riuscii, finalmente, nel mio intento. E addentai.

La lingua si ritirò; i denti si serrarono; le spalle si alzarono; il collo si incassò; gli occhi si chiusero.

Mi ero lasciata ingannare dai primi due sensi, convinta che mi avessero già da soli svelato la reale natura di quel frutto.

Non avevo, invece, utilizzato per nulla il cervello.

Fu come mangiare un limone, forse, se possibile, un pochino più aspro ancora.

Come avevo potuto credere che, un frutto della stessa famiglia del limone, non fosse così? L’aspetto maestoso mi aveva tratto in inganno. E lo aveva fatto ancora di più il profumo che quel frutto traditore sprigionava sia da chiuso che, ancora di più, una volta aperto.

Guardai la buccia. Quella bellezza visiva e olfattiva era totalmente inutile per la mia lingua: come poteva essere giustificato tanto spreco?

Un cedro è così perché la sua natura è così: non lo sceglie. E non potrà mai esserci un cedro dolce. Se ci fosse, sarebbe il risultato di un maneggiamento della sua natura più interna, quasi della sua anima, se ne avesse una.

Sta proprio qui io punto: è l’anima che fa la differenza? Io credo di sì.

L’anima del cedro era ben celata da una scocca che ben si integrava nelle aspettative.

Normalmente, noi scegliamo la nostra scocca sulla base di queste convenzioni.

E, sempre normalmente, ci facciamo anche ingannare dalle altre scocche.

La differenza è che, se una mela sarà sempre una mela, e così sarà una pera, una banana, un caco, un chicco d’uva, fino al nostro cedro, noi invece possiamo scegliere: scocca o nucleo? Esteriorità o interiorità?

Ma addirittura, la magia sta in qualcosa di ancora più profondo: possiamo addirittura riuscire a rompere tutti i canoni, a mischiare i colori, a sfondare tutti i cliché: possiamo addirittura avere del belo tanto nell’interiore quanto nell’esteriore!

Ovviamente, ci sarà sempre chi negherà persino l’evidenza.

 

 


 

 

 

 

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