Una mela sarà sempre una mela; lo stesso sarà una pera, una banana, un caco, un chicco d’uva, e così via.
Tutte, nella loro diversità, compongono un mondo che diventa,
così, variegato. Se voglio dolcezza, sceglierò magari una fragola, piuttosto
che un’arancia, che invece andrà benissimo per una sferzata di energia o una
pausa vitaminica.
Possiamo scegliere, e nessuna di loro si lamenterà.
Ma il vero punto di partenza di questa riflessione un po’
allucinata è un altro.
Durante le vacanze di Natale ho acquistato un cedro. Era gigante
e l’ho comprato per dare colore alla tavola.
In effetti, data anche la sua mole davvero notevole, si è
fatto notare e lo ha fatto con eleganza.
La sua buccia, gialla fluo, risaltava sui colori natalizi e
dava un sentimento di esotico accanto alla frutta secca.
Tutti lo guardavamo, però nessuno osava toccarlo: era il re
e là doveva stare indisturbato.
Finite le feste, mi sono decisa ad andare oltre il senso visivo.
Mi sono detta: tanto splendore, avrà certamente un segreto di gusto e sapore inimitabili.
Ho affondato il coltello in quella buccia che mi aveva incantata
sin da quando l’avevo “incontrato” per prima volta sul banco della frutta.
Sorpresa: non finivo più di affondare! Ho scoperto che la
scorza era molto alta. La parte dentro era di un bianco luminoso almeno come il
giallo esterno e, soprattutto, sprigionava un profumo inebriante. Si era
attivato un senso che, in amore, si dice che vada a braccetto con la vista: l’olfatto.
Normalmente attivato da ormoni che vanno a colpire certi
ricettori nascosti e sconosciuti a noi stessi che li ospitiamo, i profumi e gli
odori sono in grado di amplificare il sentire e anche di sbloccare i ricordi.
Man mano che procedevo con lo sradicamento della scorza, il
profumo aumentava ed era avvolgente; inoltre, come un tesoro, pian piano
appariva il frutto interno, celato e custodito come una perla rara e preziosa.
Sentii l’urgenza di liberarlo da quella specie di prigione. Pensai:
se i presupposti sono questi, gli spicchi saranno qualcosa di paradisiaco per
le mie papille gustative.
Ripulito il nucleo di quella che immaginavo essere una bomba
di piacere, non me la sentii di gettare via la scorza: la riposi in un piatto,
era troppo bella e profumata per essere buttata via. Meglio attendere.
Mi rivolsi, ora, al frutto: risultava pallido, tirato, in
alcuni punti addirittura molto asciutto.
Non era così che me l’ero figurato.
Provai a estrapolare uno spicchio e fu molto difficoltoso. Avevo
immaginato che fosse come un’arancia: naturalmente disposta a lasciarsi
disgregare per farsi meglio assaporare.
Dopo aver immerso totalmente le dita di entrambe le mani in
quella polpa fredda, riuscii, finalmente, nel mio intento. E addentai.
La lingua si ritirò; i denti si serrarono; le spalle si
alzarono; il collo si incassò; gli occhi si chiusero.
Mi ero lasciata ingannare dai primi due sensi, convinta che
mi avessero già da soli svelato la reale natura di quel frutto.
Non avevo, invece, utilizzato per nulla il cervello.
Fu come mangiare un limone, forse, se possibile, un pochino
più aspro ancora.
Come avevo potuto credere che, un frutto della stessa
famiglia del limone, non fosse così? L’aspetto maestoso mi aveva tratto in
inganno. E lo aveva fatto ancora di più il profumo che quel frutto traditore
sprigionava sia da chiuso che, ancora di più, una volta aperto.
Guardai la buccia. Quella bellezza visiva e olfattiva era
totalmente inutile per la mia lingua: come poteva essere giustificato tanto
spreco?
Un cedro è così perché la sua natura è così: non lo sceglie.
E non potrà mai esserci un cedro dolce. Se ci fosse, sarebbe il risultato di un
maneggiamento della sua natura più interna, quasi della sua anima, se ne avesse
una.
Sta proprio qui io punto: è l’anima che fa la differenza? Io
credo di sì.
L’anima del cedro era ben celata da una scocca che ben si
integrava nelle aspettative.
Normalmente, noi scegliamo la nostra scocca sulla base di
queste convenzioni.
E, sempre normalmente, ci facciamo anche ingannare dalle
altre scocche.
La differenza è che, se una mela sarà sempre una mela, e
così sarà una pera, una banana, un caco, un chicco d’uva, fino al nostro cedro,
noi invece possiamo scegliere: scocca o nucleo? Esteriorità o interiorità?
Ma addirittura, la magia sta in qualcosa di ancora più
profondo: possiamo addirittura riuscire a rompere tutti i canoni, a mischiare i
colori, a sfondare tutti i cliché: possiamo addirittura avere del belo tanto
nell’interiore quanto nell’esteriore!
Ovviamente, ci sarà sempre chi negherà persino l’evidenza.
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