Chi sono

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Sono Daniela Spagnolo, Influencer di Gentilezza e Inclusività, Scrittrice di Donne, Blogger, Founder of @kindpowity_bydanielaspagnolo. Nel 2013 pubblico, in self publishing, "Fate Moderne", e nel 2016, sempre nella stessa forma, "La gente perbene e la ragazza del mercato". Nel 2018 esce "Il silenzio del Tempo", edito dalla casa editrice 96-rue-de-la-fontaine. Nel 2021 è la volta di "Dora", un noir dai tratti gotici, pubblicato con la LFA PUBLISHER, che si pone l’ambizioso obiettivo di essere il primo di una serie tutta ambientata nella medesima cittadina. Nel 2022 arriva "Piccolo Diario di una Cicatrice", ancora edizioni LFA PUBLISHER: un libro interattivo per provare a ripartire dalle proprie cicatrici. Vivo a Grugliasco alle porte di Torino (la mia città natale), e sono naturalmente spinta verso l’impegno sul territorio, che nel 2023 trova realizzazione nella costituzione del PRIMO GRUPPO DI LAVORO sulla DISABILITA’ – GRUGLIASCO, che ho fondato insieme ad una cara amica con la quale condivido esperienze di vita. Scopri di più su quello che faccio: linktr.ee/daniela.spagnolo_scrittrice

venerdì 29 maggio 2020

I Re Mida dei nostri rompiballe

Questo pensiero è per gli Insegnanti d’Italia. Per le Maestre e i Maestri dei nostri piccoli rompiballe, per i professori dei nostri adolescenti fragili e dei pre-adulti cazzari.

Quante volte ho detto, parlando di un istituto scolastico, “La vera differenza la fa l’insegnante”

Ed è vero. Perché nella scuola lo vedi davvero che è la persona che plasma il proprio lavoro e tutto ciò che fa e che tocca, anche solo virtualmente, mettendoci del proprio.

Allora voi Insegnanti potreste essere definiti i Re Mida dei nostri figli.

Perché siete Voi che li accogliete, mentre noi genitori siamo chiamati ad altro; siete voi che li formate dal punto di vista istruttivo, e non semplicemente ripetendo le stesse cose per anni, perché quello che fate è molto più che ripetere. E, detto tra noi, anche io ripeto le stese cose da undici anni, oramai, ma a me non ascolta nessuno…magari mi date due dritte?

Siete sempre voi che consolate il ragazzino che è stato mollato, o il bambino che non riesce a giocare con i compagni perché si vergogna. Perché con noi genitori spesso non vogliono parlare e si fingono distratti per non farci capire cos’hanno dentro, e noi troppo spesso siamo ancora più distratti di loro.

E dunque, mi sono chiesta: come avete fatto, cari Insegnanti, a resistere tutto questo tempo senza le vocine dei nostri piccoli e grandi rompiballe?

Come avete fatto a stare senza i “Ciao Maestra!” urlati alle otto e mezza del mattino?

Oppure i “Oh prof, com’è?” dei galletti imberbi e brufolosi?

Come avete resistito senza i loro abbracci spontanei e inaspettati? E le loro risate, le loro lacrime, i loro capricci (che non hanno età). Insomma: la loro essenza, l’Essenza Bambina che è l’anima della Scuola stessa, di ogni grado. Non per niente esiste l’Esame di Maturità, perché dopo quello l’Essenza Bambina la devi mettere da parte devi diventare maturo, e noioso.

Ma qualcuno la mantiene, e allora diventa un bravo  insegnante. Non tutti, solo quelli che sanno “fare la differenza” ce l’hanno, e sono quelli che ti fanno amare un libro per tutta la vita, quelli che ti avranno fatto capire quella cosa che proprio non ti entrava in testa. Quelli che ti hanno detto che anche tu vali.

Sinceramente, io non so se sarei riuscita a resistere. E penso soprattutto a quegli insegnanti degli ultimi anni, che si sono persi un passaggio importante di crescita. E' come rimanere in sospeso, non aver finito qualcosa, portarsi dietro un incompiuto che non si potrà compiere.

Le indicazioni sulla ripresa del nuovo anno scolastico parlano ancora di distanziamento sociale.

Ma la Scuola non può convivere con il distanziamento sociale: sarebbe come un fiore senza profumo, bello, ma assente.

Come farò a confidarmi? Come farò a consolarmi?

Questa situazione estrema ci porta all'esasperazione dell’individualismo, mascherato, è proprio il caso di dirlo, con la presenza fisica ma in condizioni sicurezza. Insomma, ci sono ma non mi considerare.

Allora credo che il nuovo anno scolastico sarà ancora più duro, perché Vi costringerà a trattenere gli abbracci, ad esserci ma a debita distanza. Perché la Scuola è anche e soprattutto fisicità. È il linguaggio del corpo che tante volte riempie il vuoto, laddove le parole servono a poco.

Sarà dura non far inaridire le emozioni, sarà dura non far trasformare quella che è la vostra missione, in semplice e arido lavoro.

Sarete pochi a riuscirci e a Voi pochi va il mio grazie di mamma.

 

 


mercoledì 27 maggio 2020

PAGELLE

Stanno per arrivare le PAGELLE, e un urlo mi sale dal petto: ODDIO. 

OH MY GOD, se siamo nell'ora di inglese.

Mai come quest’anno le sento come se dovessero essere un’espressione di voto su di me.

Maestre, giuro che mi sono impegnata moltissimo. Magari non da subito, eh! Perché, in fondo, ma anche in superficie, io sono un’ottimista e quando ci avevano detto che la scuola avrebbe riaperto il 6 marzo, bhe, io ci avevo creduto!! Pensate che avevo anche già preparato la schiscetta per il pranzo dei miei figli.

E quindi, non ero proprio preparata alla gran botta della DaD.

Se per i bambini DaD sta per Didattica-a-Distanza, per noi genitori “Daje-ancora-Daje” sarebbe la traduzione più corretta.

Arriveremo sui gomiti al 10 giugno, ma “Ce la faremo!!!”

Tra Smartworking e DaD non so più distinguere tra me e il mio avatar.

Ci sono giorni che mi sveglio e non capisco se sto dentro al computer di mio figlio, che poi sarebbe il mio ma glielo devo prestare e ne rientro in possesso a tarda notte per farmi i fatti miei (che i fatti miei-miei non esistono neanche più, sarebbero in realtà i fatti miei-del-lavoro).

Allora capita che appena apro gli occhi, cerco la cartella “Compiti Genoveffo, settimana XYZ”. E il problema è che non la trovo! E lì partono tutte le parolacce che alle sette di mattina riesco ad inanellare una dietro l’altra, senza mordermi la lingua.

Poi il mio cane mi lecca la faccia, e allora mi sveglio davvero. Ma siccome c’è già chi mi chiede la colazione, e io sono ancora lì che devo fare attenzione a non mordermi la lingua, forse era meglio se restavo in compagnia del mio avatar a cercare quella stramaledetta cartella dei compiti.

Maestre, tornando a noi, ho studiato. Ho ripassato i Romani; ad esempio, lo sapevate Voi che Stilicone ha sconfitto Alarico a Pollenzo?!

Diciamo che questa DaD mi ha dato conferma anche di cose che già immaginavo. Ad esempio, Storia mi piace, già mi piaceva prima. Se serve, vi faccio avere le mie pagelle di trent’anni fa, potranno confermarvelo.

Altra conferma arriva sul fronte della Matematica: ero e sono una capra assoluta. Che in realtà, quando in Scienze si studiano gli ovini e i caprini, mica trovi tra le caratteristiche che non ci capiscono una mazza in matematica... 

Grammatica mi annoiava prima e continua ad annoiarmi ora: troppi complementi, non bastava dire “soggetto-verbo-complemento” senza stare a specificare troppo? Che poi, a furia di specificare, si arriva all’atomo della frase e poi non ci si ricorda che cosa si voleva dire! Per non parlare di “verbo”, “predicato verbale”, “predicato nominale”…a volte capita che faccia una grande insalata. Però alla fine non mi esprimo così male…insomma, sono brava ma non mi impegno.

No, non è vero, mi sono impegnata, giuro!

Anche in condotta, posso dire di essere stata piuttosto paziente, gradevole, rispettosa delle mie regole. Solo, a volte mi fregano le parolacce delle sette si mattina, quelle che mi fanno pizzicare la lingua.

Geografia mi ha fatto ricordare un binomio che ha accompagnato i miei anni di elementari: “agricoltura e pastorizia”, un’accoppiata vincente per mezza Italia, se non ricordo male. Adesso ho visto che non si fanno più i lucidi delle cartine delle varie Regioni. Quando andavo a scuola la mia Maestra ci faceva fare i piccoli amanuensi: cartine geo-politiche ricopiate su fogli lucidi, con fiumi,  laghi, colline, insomma tutto il corredo. Solo che su quella carta lucida dovevi calcare per lasciare un minimo di tratto colorato e a fine cartina avevi finito anche la cartilagine di tutta la mano e del polso.

Arte è sempre stata la mia ora preferita. Tecniche, colori, disegni liberi e rivisitati. Da grande avrei voluto fare l’artistico, ma all’epoca non si “usava” e a volte mi chiedo come sarebbe stato.

Di arte quello che mi colpiva di più erano i professori che ce la insegnavano: tipi bizzarri e stravaganti. Arrivavano in laboratorio come fossero delle trottole e per tutta la lezione giravano tra i banchi, facevano provare tecniche, piroettavano da uno studente all’altro, non si fermavano mai. Poi, come arrivavano, se ne andavano, perché non me ne capitò mai uno di ruolo.

English: la frasetta "Two is megl che One" ormai mi accompagna da trent'anni.  I capelli della rossa nella pubblicità erano semplicemente MAGNIFICI! Quando ho provato a farli io, sembravo Medusa. Ci provai per moltissimo tempo, e ne ricavai un gran trauma. Forse dovrei fare causa alla Motta.

Di Religione, ho recitato rosari e preghiere in chiese semivuote, che un po’ di effetto faceva a vederle così.

Infine, Educazione Motoria: quella mi manca, ma ho la giustifica, ve la posto in classroom




sabato 16 maggio 2020

LE SERIE TV MADE IN ITALY

La serie che ha appassionato gli italiani in questi mesi è giunta al termine della sua prima stagione.

Ovviamente parlo della serie “Il Conte”.

Dai dati, è emerso che il gradimento ha raggiunto livelli altissimi, per la tv pubblica, mai visti nemmeno dal Festival di San Remo.

Un ulteriore approfondimento ha fatto notare come a gradirla maggiormente sia stato un pubblico di sesso femminile: evidentemente stufo della solita zuppa di cavolo che il lockdown gli proponeva nel talamo matrimoniale, queste femmine (o sedicenti tali, fino a nuova riapertura di estetisti e parrucchieri) si buttavano sulla fantasia sfrenata di essere lockdownate pure loro a suon di DPCM un-due-tre-stella!

Ora sarà dura affrontare le interminabili serate che vanno naturalmente allungandosi, senza quell’appuntamento sul piccolo schermo di casa, che ci spingeva ad affrettarci a consumare un pasto in quell’occasione frugale, in modo da tuffarci tutti sul divano e assorbire quelle parole chiarificatrici e nutrienti per lo spirito. Forse, è qui che si spiega il gradimento femminile: essendo ripiombati ufficialmente indietro di cinquant’anni, alla donna di casa resta da rassettare la cucina, e quando lei finisce è finita anche la puntata e lei sente solo più i saluti finali, pronunciati facendo l’occhiolino malizioso.

Leggevo che qualcuno paventava la possibilità di nuove puntate in autunno, resta da capire se si tratterà di una replica o di nuovissimi episodi, densi di novità, che anche in quel caso ci invidieranno in tutto il mondo.

Nel frattempo, sempre sulla TV pubblica, ma più in sordina, pare stia prendendo piede una nuova serie, che sembra stia guadagnando velocemente terreno anch’essa, ma con un target di pubblico affezionato agli horror: “Non aprite quella Scuola”.

Parla di una ragazzetta carina e simpatica, che però poi inizia a parlare e allora cominciano i guai: studenti che devono infilarsi lo zaino all’ultimo e di corsa per andare a scuola, ma che poi la scuola non la trovano perché è stata disinfettata talmente bene che le pareti si sono sciolte, con dentro pure tutti gli insegnanti.

Sembra un incubo, ma il palinsesto ha confermato il prosieguo della trasmissione, promettendo puntate nuove e dense di colpi di scena almeno per tutta l’estate.

Stay tuned!


martedì 12 maggio 2020

IL MITO DELLA CAVERNA

Alla luce degli ultimi fatti di cronaca, ma anche a seguito della lunga, lunghissima reclusione dovuta all’emergenza sanitaria, è nata in me l’idea che la nostra condizione si possa facilmente assimilare al mito della Caverna di Platone.

Il Mito della Caverna rappresenta totalmente il pensiero di Platone.

La Caverna è popolata da schiavi che, incatenati, possono vedere solo le ombre, proiettate sulla parete di roccia, di ciò che è il mondo esterno. Questo, inevitabilmente, li porta a farsi un’immagine propria del mondo esterno, che non collima con la realtà. Inoltre, se all’improvviso gli schiavi venissero fatti uscire all’esterno, i loro occhi non si abituerebbero alla luce accecante e proverebbero addirittura fastidio per la nuova libertà ottenuta.

Le nuove gocce di libertà che ci sono concesse in questi giorni, rigorosamente cadute da un alto che più alto non si può, sempre dietro il tipo di ricatto che generalmente io uso con mio figlio più piccolo (“Se fai il bravo ti do una caramella”), su di me stanno avendo l’effetto contrario a quello che si dovrebbe riscontrare: ossia, ho meno voglia di prima di fare le cose.

Non credo si tratti di ripicca, ma più di rigetto. Rigetto verso una finta libertà, rigetto verso un modus operandi che non condivido. Insomma: mi è passata la voglia, come si dice.Perché per fare le cose, devi avere tu, per primo, voglia di farle. E invece quello che mi sembra di respirare in giro è un po’ la stessa atmosfera che aleggia prima di capodanno: bisogna festeggiare perché si deve fare, e basta. Che a saperlo prima, l’ultimo veglione sarebbe stato meglio farlo interamente in preghiera.

La Caverna mi ha assorbita e mi sta tentando. È più facile, obiettivamente, guardare il mondo dalla Caverna, perchéti viene fornito con le istruzioni per capirlo. Istruzioni scritte da chi nella caverna, ovviamente, non ci mette piede. Insomma, spegni il cervello e ti metti in modalità stand-by.

Il problema poi si pone quando e se dovrai uscire: il sole ti accecherebbe con tutte le sue altre versioni di quel mondo che pensavi di conoscere per davvero.

Prendiamo anche un caso, ovvio, logico, eclatante: una ragazza viene liberata, dovrebbe venire naturale gioire. Invece no, perché le ombre sulla parete interna si deformano, e invece che la gioia proviamo rancore perché quella che vediamo non è la ragazza oggettiva che altrettanto oggettivamente è stata liberata.

No, noi vediamo le nostre proiezioni di lei, fatte di invidia perché noi quel viaggio non avremmo mai avuto il coraggio di farlo; rabbia perché con tutti i soldi che hanno pagato per liberarla, noi ci saremmo comprati chissà che cosa (neanche se ce li avessero promessi, quei soldi; che poi, di quanti soldi si tratta neanche lo sappiamo per certo).

E così via, in quella caverna, in quel cul-de-sac che è il nostro piccolo mondo, spesso provinciale e meschino, crediamo di avere la soluzione a tutto, perché siamo onniscienti, grazie ad una scienza infusaci da chi ci vuole proteggere tenendoci incatenati a delle convinzioni basiche e sempre verdi, come alcune piante.



 

 

 


domenica 10 maggio 2020

LA MAMMA, ESSERE MITOLOGICO

Le Mamme, delle volte, hanno le bici scassate. Le vedi, nelle uscite a due ruote di tutta la famiglia, e le riconosci subito. Mica dai capelli lunghi e dal rossetto pure con la tutina da fitness, no.

Il Padre ha una mountain bike di ultima generazione, con il tubo per il nos e la scocca metallizzata.

I bambini, se sono maschi, hanno generalmente una versione mignon di quella del padre, se sono femmine hanno la stessa versione del padre, ma rosa. Poi arriva lei, la Madre, che chiude la fila, con la mitica Graziella anni 80 e, normalmente, un seggiolino ancora attaccato sul portapacchi posteriore, reminiscenza dell’infanzia dei suoi figli che il Padre non ha ancora, dopo almeno sei anni, trovato il tempo di levarti dal dietro al sedere.

Le Mamme delle volte hanno lo smalto un po’ sbeccato, di solito sul pollice o sull’indice, proprio lì dove l’unghia sta vicina alla pelle. È il risultato dell’ultima riunione con gli insegnanti, quando si sono sentite dire come sono veramente i loro figli mentre non ci sono loro a sorvegliarli.

Le Mamme magari non hanno sempre la piega fatta, però c’è sempre una torta in forno e una pasta pronta, ed è sempre quella che ci piace di più.

Le Mamme capita che siano poco fashion, perché c’è sempre da rincorrere qualcuno o qualcosa, e allora il tacco ti può scappare e la gonna può svolazzare proprio nel momento meno opportuno.

La Mamma è un essere che vive di notte, ma non lo sa. Viaggia in tutto il mondo, dà il bianco alla casa, cambia auto, fa progetti per la vecchiaia e li realizza pure. Poi si sveglia con un gran mal di schiena che nemmeno lei si spiega, visto che i muri della casa sono di nuovo sporchi: qualcuno deve averli sporcati, e deve essere stato il padre, sicuramente!

Se cerchi “Mamma” sul dizionario, esso ti dice “La donna che ha concepito e partorito", ma il vero significato è “essere imperfetto, a volte disordinato e che urla dietro ai figli per avere ordine, che si sveglia al mattino sognando già il momento in cui tornerà a dormire, e comincia a dare istruzioni su come svolgere la giornata in maniera precisa, istruzioni che nemmeno lei seguirà; e, dopo aver passato il 90% delle sue 24 ore ad urlare, se ne va a letto dispensando bacini della buona notte ai figli addormentati”. 

E quando i figli dormono, lei pensa finalmente di potersi dedicare a quello che le piace: una bella maschera sul viso, un libro, una tisana, magari anche tutto insieme. 

Ma poi, per sbaglio, chiude gli occhi e arriva Morfeo che la frega di nuovo!




mercoledì 6 maggio 2020

La pandemia della gente perbene

All’inizio ci hanno detto una cosa terribile: restate in casa.

Eppure chissà quante volte l’avevamo sognato, di potercene stare chiusi in casa, senza far niente. “Eh, ma come, adesso che te lo dicono addirittura i grandi capi, stai a lamentarti?”

E allora ci abbiamo pensato su, e magari ci siamo anche sentiti delle merde, a lamentarci.

Allora, per rinforzare questo sentimento, pallido, di colpa, ci hanno caricato con metafore guerresche: “I nostri nonni a combattere nelle trincee, tu sul divano!”

E vai di flash mob sui balconi. Inni d’Italia che si sprecavano, intervallati dagli applausi ai guerrieri dei nostri giorni, tutto il personale medico italiano e pure quello straniero accorso in aiuto. Tutti eroi, che fino a qualche giorno prima magari abbiamo pure mandato a stendere perché non ci facevano l’esame entro i tempi che volevamo o ci facevano fare due ore di coda all’accettazione.

Ma va bhe, quella era un’alltra storia, anzi, un’altra vita! Adesso, siamo tutti cambiati, siamo tutti migliori.

E però quella sensazione che qualcosa non ci tornasse, che dentro ancora si agitasse una sensazione di libertà negata per colpe altrui, ogni tanto si faceva sentire.

Allora vai di altri flash mob, vai di arcobaleni e canzoncine da imparare. Quando non arrivavano direttamente o indirettamente gli insulti da parte dei più virtuosi, che virtuosamente sprecavano gli “egoista” o i “vergognati”. Vergognarmi per cosa? Per pretendere il rispetto delle libertà di tutti, non solo le mie? Per pretendere chiarezza sulla gestione dell’emergenza e dei soldi che arrivavano dalla UE, sempre per l’emergenza? Per pretendere il rispetto degli anziani rinchiusi in prigioni di morte? Per difendere la libertà di scelta su eventuali vaccini?

Ma poi arrivavano la pizza e i tiramisù, e ci pensavano loro ad anestetizzare gli animi di entrambe le fazioni.

Abbiamo fatto i dolci in casa, come le nostre nonne italiche, e tonnellate di lievito se n’è andato per le pizze. Uh, quante pizze abbiamo fatto. Per forza, abbiamo preso tutto il lievito che c’era al supermercato.

“Ne ho lasciato per gli altri? Eh no, ma io sono arrivata prima!”

Arrivare prima è ormai il leit-motiv di questa quarantena: arrivare prima per mettersi in coda davanti al supermercato, arrivare prima e accaparrarsi più mascherine possibile, arrivare prima e evitare la massa di gente.

E così, dal primo giorno di reclusione abbiamo subìto una mutazione.

Se già prima eravamo esseri fondamentalmente egoisti e vagamente asociali, queste peculiarità sono fiorite nella primavera quarantenica, cosicché la gente è diventata il vero nemico là fuori.

La percezione, e  la perversione, del rischio ci ha portato a individuare il pericolo nell’altro. E ognuno ha il suo altro, che non sarà uguale al mio o al tuo.

Poi però ci sciacquiamo la coscienza mettendo un pacco di pasta al fondo della chiesa: così ci sentiamo ripuliti, adesso che nemmeno ci possiamo più confessare. Chissà quante ore ci dovrà tenere il povero confessore, quando riusciremo a trovarne uno.

E in tutto questo mondo migliore, mi chiedo una cosa: se ci capiterà di vedere qualcuno che cade dalla bici per strada, o se una signora anziana ci chiederà una mano per salire o scendere da un bus o dal gradino del panettiere, che ne faremo del distanziamento sociale?

 


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