Alla luce degli ultimi fatti di cronaca,
ma anche a seguito della lunga, lunghissima reclusione dovuta all’emergenza
sanitaria, è nata in me l’idea che la nostra condizione si possa facilmente
assimilare al mito della Caverna di Platone.
Il Mito della Caverna rappresenta
totalmente il pensiero di Platone.
La Caverna è popolata da schiavi che, incatenati, possono vedere solo le ombre, proiettate sulla parete di roccia, di ciò che è il mondo esterno. Questo, inevitabilmente, li porta a farsi un’immagine propria del mondo esterno, che non collima con la realtà. Inoltre, se all’improvviso gli schiavi venissero fatti uscire all’esterno, i loro occhi non si abituerebbero alla luce accecante e proverebbero addirittura fastidio per la nuova libertà ottenuta.
Le nuove gocce di libertà che ci sono concesse in questi giorni, rigorosamente cadute da un alto che più alto non si può, sempre dietro il tipo di ricatto che generalmente io uso con mio figlio più piccolo (“Se fai il bravo ti do una caramella”), su di me stanno avendo l’effetto contrario a quello che si dovrebbe riscontrare: ossia, ho meno voglia di prima di fare le cose.
Non credo si tratti di ripicca, ma più di rigetto. Rigetto verso una finta libertà, rigetto verso un modus operandi che non condivido. Insomma: mi è passata la voglia, come si dice.Perché per fare le cose, devi avere tu, per primo, voglia di farle. E invece quello che mi sembra di respirare in giro è un po’ la stessa atmosfera che aleggia prima di capodanno: bisogna festeggiare perché si deve fare, e basta. Che a saperlo prima, l’ultimo veglione sarebbe stato meglio farlo interamente in preghiera.
La Caverna mi ha assorbita e mi sta tentando. È più facile, obiettivamente, guardare il mondo dalla Caverna, perchéti viene fornito con le istruzioni per capirlo. Istruzioni scritte da chi nella caverna, ovviamente, non ci mette piede. Insomma, spegni il cervello e ti metti in modalità stand-by.
Il problema poi si pone quando e se
dovrai uscire: il sole ti accecherebbe con tutte le sue altre versioni di quel mondo
che pensavi di conoscere per davvero.
Prendiamo anche un caso, ovvio, logico, eclatante: una ragazza viene liberata, dovrebbe venire naturale gioire. Invece no, perché le ombre sulla parete interna si deformano, e invece che la gioia proviamo rancore perché quella che vediamo non è la ragazza oggettiva che altrettanto oggettivamente è stata liberata.
No, noi vediamo le nostre proiezioni di
lei, fatte di invidia perché noi quel viaggio non avremmo mai avuto il coraggio
di farlo; rabbia perché con tutti i soldi che hanno pagato per liberarla, noi
ci saremmo comprati chissà che cosa (neanche se ce li avessero promessi, quei
soldi; che poi, di quanti soldi si tratta neanche lo sappiamo per certo).
E così via, in quella caverna, in quel
cul-de-sac che è il nostro piccolo mondo, spesso provinciale e meschino,
crediamo di avere la soluzione a tutto, perché siamo onniscienti, grazie ad una
scienza infusaci da chi ci vuole proteggere tenendoci incatenati a delle
convinzioni basiche e sempre verdi, come alcune piante.
Nessun commento:
Posta un commento