Non appena ho scoperto che sarei diventata mamma per la
prima volta, il mio cervello si mise in modalità “apprendimento ossessivo compulsivo”:
ossia, aveva deciso che entro i nove mesi io avrei dovuto imparare ed
assimilare tutto ciò che le Donne avevano incamerato sì e no a partire dalla nascita
del mondo, o giù di lì, sino ai giorni nostri.
Mi procurai e lessi ogni genere di libro
di puericultura e che affrontasse il nascituro da ogni punto di vista: la
nascita, l’attaccamento alla madre, le prime malattie comuni, quelle meno
comuni, quelle rare, quelle non ancora scoperte; i dentini, la diarrea; i
sorrisini, il sonno e i giochi, passando dall’ allattamento al seno ad oltranza,
pure fino alla maggiore età, fino alla figura del padre usata come carta da
parati di fronte a queste madri-matrone onniscenti e preveggenti.
Fu così, ad esempio, che mi feci, grazie
ad un apposito saggio, una grande cultura sul sonno e sulla sua gestione,
regalandomi, dopo le innumerevoli notti insonni fatte di pianti e strilli dei
primi tempi, altrettante notti insonni fatte sempre di pianti e strilli. L’unica
differenza era che le prime notti insonni erano inconsapevoli, mentre le seconde
erano state liberamente decise da me.
La cosa meravigliosa era, e continua ad
essere, una: non appena arrivo a completare un livello di questo gioco, ecco
che se ne sblocca un altro e devo ricominciare da capo. Il che significa, che
non appena riesci, in mezzo al tuo rincoglionimento cronico, a capire le regole
della prima infanzia, ecco che ti accorgi che il pupo ha l’età per frequentare
in maniera costruttiva altri bambini e … hop! È saltato dall’altra parte del
suo primo steccato della vita: la Socialità.
Tuo figlio è il migliore di tutti, ma
come farà ad abbassarsi al pari degli altri?? È un’ingiustizia. Eppure la devi
sopportare, e così sospiri, mandi indietro le lacrime di orgoglio, e lo mandi alla
Scuola Materna, pardon, dell’Infanzia, come tutti gli altri.
Sarà difficile, ma realizzerai che anche
gli altri bambini riescono a scaccolarsi con nonchalance proprio come il tuo
royal baby, e che anche gli altri fanno la cacchetta puzzolente come il tuo. Questa
cosa ha dell’incredibile.
Dunque, superato il primo momento di
stupore, e realizzato che tuo figlio, quello Royal, in realtà è un cazzo di teppistello
col pannolino, arriva per te, neomamma col master, il momento più difficile:
quello dell’educazione alla Convivenza.
Arriva dunque, il momento in cui bisogna
scardinare dalla testa del suddetto Royal Baby l’idea, seminata perlopiù dagli
amorevoli nonni, che lui sia il Re di tutti e che tutti siano i suoi sudditi, e
dunque che non può sempre ordinare qualcosa perché quel qualcosa effettivamente
gli arrivi. Insomma, arriva il tempo di una parolaccia, triste, nera, maleodorante,
fastidiosa: NO.
Personalmente ho scoperto una grande e
inaspettata verità: nel rapporto genitori-figli il NO fa più male a chi lo dice.
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