Chi sono

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Sono Daniela Spagnolo, Influencer di Gentilezza e Inclusività, Scrittrice di Donne, Blogger, Founder of @kindpowity_bydanielaspagnolo. Nel 2013 pubblico, in self publishing, "Fate Moderne", e nel 2016, sempre nella stessa forma, "La gente perbene e la ragazza del mercato". Nel 2018 esce "Il silenzio del Tempo", edito dalla casa editrice 96-rue-de-la-fontaine. Nel 2021 è la volta di "Dora", un noir dai tratti gotici, pubblicato con la LFA PUBLISHER, che si pone l’ambizioso obiettivo di essere il primo di una serie tutta ambientata nella medesima cittadina. Nel 2022 arriva "Piccolo Diario di una Cicatrice", ancora edizioni LFA PUBLISHER: un libro interattivo per provare a ripartire dalle proprie cicatrici. Vivo a Grugliasco alle porte di Torino (la mia città natale), e sono naturalmente spinta verso l’impegno sul territorio, che nel 2023 trova realizzazione nella costituzione del PRIMO GRUPPO DI LAVORO sulla DISABILITA’ – GRUGLIASCO, che ho fondato insieme ad una cara amica con la quale condivido esperienze di vita. Scopri di più su quello che faccio: linktr.ee/daniela.spagnolo_scrittrice

mercoledì 9 novembre 2022

TRAPPOLE DI ORGOGLIO

Il giudizio è una trappola.

Infatti, proprio come una trappola si nasconde in mezzo ai “Secondo me”, si mimetizza tra i “Personalmente, io penso che…”.

Come un animale predatore che si camuffa da preda, il giudizio è rivestito di buone intenzioni: ne ha almeno tre strati, che lo rendono praticamente irriconoscibile ad occhio nudo.

Uno per nascondersi alla vista, uno per non farsi riconoscere a pelle, e, infine, uno per non farsi scoprire dai sentimenti.

Fermo restando che siamo tutti pronti a condannarlo, poi mi chiedo: quante volte ci siamo resi conto di averne emesso uno o di esser stati sul punto di farlo?

A me è capitato. Diverse volte. E sapete come ci si sente, mentre lo fai?

Ti senti superiore. Ti senti un grande. Ti senti migliore, anzi IL migliore.

È una sensazione che ti gasa.

Poi però il gas passa, evapora e, come una bibita che viene lasciata aperta fuori frigo, la sensazione che rimane è quella di mancanza di sapore, di gusto, di tonicità.

Anzi, potrei anche dire che dopo, quasi subito dopo, ci si sente vuoti, sgonfi, piatti: come un pallone sgonfio, come se quello che hai appena detto fosse sporco.

Ma tu devi reggere quell’odioso Gioco delle Parti e fai finta di nulla, anzi ti racconti che tu sei nel giusto, il giusto assoluto con la G maiuscola.

E poi, ti dimentichi.

Parallelamente, la sensazione di chi riceve il giudizio, di chi viene in qualche modo marchiato da esso, si manifesta in maniera diametralmente opposta: le parole arrivano, feriscono la pelle, penetrano la carne, fanno sanguinare l’anima.

Il problema che è che il diametralmente valido sulla parte iniziale del processo, non vale anche sulla seconda parte, ossia il dopo: quel marchio arriva per restare, nel cuore di chi lo riceve, e non può essere lavato via.

Bene o male, tutti abbiamo vissuto sia una che l’altra condizione, e allora mi dico che la propensione al giudizio molto probabilmente è generata dall’avvilimento che il giudizio stesso provoca: nel disperato tentativo di trovare consolazione alla propria mortificazione, reiteriamo sull’altro la stessa mortificazione e ne amplifichiamo il raggio d’azione, in una spirale infinta.

Ma, allora, la soluzione quale è? Il sacrificio del disinnescare, forse.

Sacrificio dell’amor proprio, dell’orgoglio.

È un vero sacrificio, questo?





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