La vita di un’ipocondriaca è dura. Durissima.
Si tratta di un’esistenza votata alla Malattia.
Per l’ipocondriaco, la Malattia assume le sembianze di una divinità cui dedicare ogni attenzione.
È una divinità multiforme e variamente dislocata: nel senso che, nel caso non fosse reperibile nel corpo dell’ipocondriaco, al poveretto basterà anche solo sentirne parlare, per farla propria e autogenerarsela.
Quando l’ipocondriaco, per pura distrazione, vive rari e pochi momenti di libertà dal suo unico pensiero fisso, la Malattia riconquista violentemente il proprio posto nella prima fila dei pensieri dello sventurato, accecandolo in ogni suo (blando) tentativo di ripresa di una vita all’apparenza normale.
Sul concetto di normalità, molto ci sarebbe da dire: quali sono, infatti, i parametri vitali di un’esistenza normale?
Ci vorrebbero gli asterischi dell’emocromo, e poi un medico da cui andare per farsi leggere i risultati:
“Dottore, com’è la mia esistenza? Sono nella norma?”
“Bhe… i suoi livelli di Ansia e Paura hanno ecceduto il limite massimo consentito”
“Oddio…è tanto grave?”
“Certamente!”
“Mi dica che c’è una cura, La prego”
“La cura c’è, ma non gliela posso dare, perché per Lei non va bene, purtroppo”
“Ma come?!”
“Lei ha un interruttore in testa?”
“No. Sono nato senza. Lo so. Me lo ha sempre detto mia madre…”
“Ecco, appunto. Se Lei ne avesse uno, glielo potrei spegnere, ma…”
“E allora, come faccio, Dottore? Mi salvi Lei!!!”
“Mi dispiace. Deve salvarsi da solo…”
Io dico sempre che è la testa che deve comandare il cervello, e non il cervello ha comandare la testa 👍
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