Chi sono

La mia foto
Sono Daniela Spagnolo, Influencer di Gentilezza e Inclusività, Scrittrice di Donne, Blogger, Founder of @kindpowity_bydanielaspagnolo. Nel 2013 pubblico, in self publishing, "Fate Moderne", e nel 2016, sempre nella stessa forma, "La gente perbene e la ragazza del mercato". Nel 2018 esce "Il silenzio del Tempo", edito dalla casa editrice 96-rue-de-la-fontaine. Nel 2021 è la volta di "Dora", un noir dai tratti gotici, pubblicato con la LFA PUBLISHER, che si pone l’ambizioso obiettivo di essere il primo di una serie tutta ambientata nella medesima cittadina. Nel 2022 arriva "Piccolo Diario di una Cicatrice", ancora edizioni LFA PUBLISHER: un libro interattivo per provare a ripartire dalle proprie cicatrici. Vivo a Grugliasco alle porte di Torino (la mia città natale), e sono naturalmente spinta verso l’impegno sul territorio, che nel 2023 trova realizzazione nella costituzione del PRIMO GRUPPO DI LAVORO sulla DISABILITA’ – GRUGLIASCO, che ho fondato insieme ad una cara amica con la quale condivido esperienze di vita. Scopri di più su quello che faccio: linktr.ee/daniela.spagnolo_scrittrice

lunedì 30 marzo 2020

IL SENSO DI COLPA


“Se non mi ascolti, vuol dire che non vuoi bene a mamma tua!”
“Sei un monello, fai piangere la tua mamma!”
“Dopo tutto quello che ho fatto per te, ti comporti così?”
E di frasi di questo genere ne potremmo elencare tutta una lunga serie che ci siamo sentiti dire sin da bambini e che quelli di noi che sono diventati genitori avranno certamente ripetuto, inconsciamente magari, ai loro figli.
Sì sì, anche voi che siete perfetti e che seguite tutti i corsi dei “migliori-genitori-del-mondo-che-non-sbagliano-mai-tattica-con-i-figli”.
Io dico le parolacce davanti ai miei figli e ci litigo pure, e ovviamente gli ho anche detto una o due di quelle frasi che ho elencato sopra. Sinceramente penso che la cosa peggiore delle tre sia l’ultima.
Quelle frasi, e altre simili, nascondono un’arma letale che esiste da quando esiste il rapporto madre-figlio: il senso di colpa.
Noi nasciamo e siamo i benvenuti. Ci preparano camerette profumate e colorate, ci comprano vestitini orripilanti che però sono anche molto carini e poi ci pacioccano dal mattino alla sera, chiamandoci con ogni genere di nomignolo sdolcinato: Patatino (solo se è maschio, perché per le femminucce non suona bene), Cucciolotto, Chicco, Gioia, Cuore, Nini. I francesi usano dire Cavolino.
Ci dicono bravo per ogni cosa che facciamo, anche solo se facciamo la cacca. A scuola siamo i migliori, persino se siamo delle capre. Siamo i più belli del mondo e chissene delle orecchie un po' grandine o del naso un po' schiacciato.
Fin qui tutto bene, tutti felici.
Ma non appena ti azzardi a contraddire chi ti sostenta, che tra l’altro lo dovrebbe fare con amore e non come se fosse una cambiale, si intende, ti piovono addosso rimostranze gravide di senso di colpa in piccoli semi, che ti si insinuano dentro e si depositano nel profondo del tuo essere, che ancora è in via di formazione, di crescita interiore. Fosse tutto qui, sarebbe niente.
Invece no, perché il vero potere di questi semini diabolici sta nel fatto che essi metteranno radici che si pianteranno con forza nell’intimo e accompagneranno l’individuo in tutta la sua vita.
La religione cristiana è piena di sensi di colpa. Pensiamoci: ogni ricorrenza del calendario liturgico è costellata del famigerato “esame di coscienza”, che l’esame di maturità gli fa un baffo, altro che commissione esterna: con quella traccia ti devi presentare al confessore e devi pure sperare che poi non ti riconosca quando ti incontra per strada.
Il senso di colpa ormai fa parte della nostra miserabile vita e ci accompagna scandendone le fasi.
Sei bambino e devi obbedire alla mamma, perché se no sei un monello e lei piange perché sei un monello. Cresci e non devi divertirti troppo, perché se non poi che penserà la gente dei tuoi genitori che ti lasciano divertire troppo.
Cresci ancora e te ne vuoi andare di casa e però ti senti in colpa perché poi pensi che i tuoi ci restino male che tu te ne vai, e invece loro non aspettano altro per stappare quella bottiglia del 1920  e riprendersi lo spazio in casa loro, ma tu non lo sai perciò ti fai assalire dai sensi di colpa.
Poi vai a lavorare e vuoi lavorare ma anche vivere, ma il tuo capo disprezza chi esce dall’ufficio prima delle 21 e allora tu resti inchiodato alla scrivania fino alle dieci.
Poi arriva una bronchite anomala. Ma tu non ci badi troppo, perché sei leggermente preso nel frullatore che è la tua vita.
Poi la bronchite si diffonde, diventa epidemia. Ma tu onestamente senti le notizie, ma continui con quella vita che magari era anche una vitaccia, ma era pur sempre la tua.
Poi arriva la pandemia. E lì non si scherza, ci siamo dentro tutti, anche tu e la tua vita di merda.
La realtà ti arriva in faccia come una sberla. Tutto cambia, non per modo di dire, ma questa volta sul serio. E tu ti affanni a cercare un briciolo di quella vita di merda che avevi prima e che ti dà un po’ di sicurezza proprio con quella sua insulsa durezza.
Ma fuori dalla tua vita, fuori dalla tua bolla ci sono migliaia di morti. Tu non li conosci tutti, ma loro ci sono. E certamente tu provi dolore per loro, ma magari non piangi veramente, perché non tutto il dolore si può dimostrare con le lacrime o con le parole. Ci sono persone che il dolore se lo tengono dentro, e quello, bastardo, si va a mettere, indovinate un po’, vicino al semino del senso di colpa, che nel frattempo è diventato con gli anni grosso come un’anguria.
Ma se tu non comunichi al mondo il fatto che sei allineato con la manifestazione del dolore, allora sei un insensibile, un incosciente, un depravato, uno sciocco, quasi quasi sei un assassino.
Questi sono i giorni del senso di colpa.
Tutti ne siamo pervasi ma non ne siamo coscienti. Tuttavia, continuiamo a rimproverare ogni nostro prossimo che si “permette” di mancare di rispetto alle migliaia di morti perché chiede di poter prendere un boccata d’aria, oppure perché chiede un po’ di sollievo per i suoi bambini.
Diventi colpevole di un atto indicibile per il semplice fatto di cercare un po’ di sollievo in un’atmosfera densa di dolore e angoscia. Ma mi chiedo: qual è la colpa, in questi casi. Chi chiede questo briciolo di serenità è responsabile, forse, delle migliaia di morti che sono state e che stanno avvenendo? Questa è la più grande campagna in nome del senso di colpa, un grossa bugia.
Il senso di colpa insito in rimproveri che si leggono sui social a chi ingenuamente fa domande che riguardano la vita quotidiana dimostra che siamo schierati in due fazioni, una delle quali purtroppo molto più numerosa.
Allora mi chiedo: è davvero giusto giudicare sempre e comunque? È davvero giusto dare per scontato che l’altro sia un insensibile, un incosciente, un depravato, uno sciocco, quasi quasi un assassino?


Nessun commento:

Posta un commento

Post in evidenza

MAMME BELLE

Edoardo: "Mamma, tu sei bella". Mamma: "Grazie. Tutte le mamme sono belle". Edoardo: "Non è vero, solo tu". ...