“E’ mio figlio, scusate”.
La vicenda della giornalista in diretta televisiva, che trasmette in collegamento da casa propria, e che viene interrotta dal figlioletto che le chiede se può avere due biscotti, ha fatto il giro del mondo.
L’ho letta anche io, su fb, non ricordo chi l’avesse
condivisa, e subito mi ha fatto sorridere di tenerezza. Dopodichè ho continuato
a scorrere le news senza stare a badarci troppo.
Mi è capitato, però, che la notizia mi tornasse
in mente qualche ora dopo, senza un vero motivo per farlo.
In effetti, mi capita spesso che io legga qualcosa,
subito mi procuri un certo effetto, e che poi quel qualcosa si sedimenti nel
cervello per riproporsi più tardi, a distanza anche di giorni a volte.
Ci ho fatto caso, e questo mi capita sempre con
quel genere di fatti che possono contenere tracce di elementi che il mio
sentire, più che il mio cervello, fa fatica a digerire.
Sarebbe utile, forse, che in capo agli articoli
si scrivesse “può contenere tracce di cattiveria, ignoranza, misoginia,
razzismo…” così uno può decidere se leggere o meno, senza poi stare male dopo.
Invece ecco, a me è capitato come se avessi
esagerato con i peperoni con la bagna caoda: il pezzo del bambino che chiede un
paio di biscotti mi si è riproposto.
Mi è tornato su, perché non mi suonava qualcosa
e non riuscivo a capire che cosa!
Allora ho riepilogato:
1) 1. La
mamma sta lavorando, chiusa in una stanza. Poveretta.
L’ho fatto anche io: per cercare un po’ di
tranquillità, è anche capitato che mi chiudessi in bagno. Scelta pessima, perché
ho scoperto che non appena entro in bagno io, a qualcuno scappa di fare
qualcosa.
2) 2. Il figlio
della mamma di cui sopra entra indisturbato e senza farsi alcun problema,
cercando la mamma per chiederle di fare uno spuntino.
Durante una video chat di lavoro piuttosto
importante, che ho dovuto sostenere di recente, mio figlio più piccolo è arrivato
urlante dalla cameretta dove l’avevo pregato di stare, in compagnia dei
fratelli, perché voleva un bicchiere d’acqua. Necessità primaria e
improcrastinabile.
3) 3 La mamma
auto-confinata si scusa con il collega, spiegando che si tratta di suo figlio. E
l’ha fatto per ben 3 volte! Addirittura dice che “E’ imbarazzante”.
4) 4. Il
collega in studio chiude frettolosamente il collegamento.
Ecco: il punto 3 non mi piace, proprio per niente.
In effetti, a mente lucida e razionale, mi chiedo di che cosa si dovesse scusare quella poveretta. Di avere un figlio? Di averlo biondo e non castano, magari? Forse si doveva scusare che il figlio le chiedesse solo due biscotti invece di tutto il pacco, come avrebbero fatto i miei; o magari dovrebbe scusarsi del fatto che il bimbo sia troppo educato per chiederglieli, i biscotti, invece di prenderseli e basta.
E poi, cosa dire del brusco cambio di
inquadratura, dell’improvviso ritorno della ripresa dello studio e dell’impossibilità,
per la giornalista, di chiudere il proprio intervento?
Per non parlare della sufficienza con cui il
collega in studio chiude il servizio?
Guarda un po’, si tratta di un uomo…
Non giudico questa mamma-giornalista. Non lo faccio,
perché penso che anche io mi sarei comportata come lei. Però non condivido la
definizione di “Imbarazzante” legata all’accaduto. In effetti, sarebbe stato imbarazzante
che le scappasse una puzzetta in diretta, oppure che facesse un rutto al microfono.
Ma mio figlio non lo definirei mai imbarazzante
solo perché mi ha chiesto un biscotto.
E allora da qui mi partono un po’ di domande: Con chi sarebbe dovuto stare il bambino, mentre la madre aveva questo impegno decisamente totalizzante?
Forse con il marito? Che però, poveretto, mica
può sapere dove stiano i biscotti, e perciò deve aver detto, ingenuamente, al
figlio “Chiedi a mamma” e lui ha eseguito. D’altra parte, un uomo non può fare
tutto da solo!
Forse con qualche nonno? Che non è stato in
grado di tenere testa a due occhioni dolci che gli hanno comunicato il bisogno
primario di nutrirsi e dunque, poiché neanche il nonno o la nonna in questione
sanno dove stiano i biscotti, è partito alla ricerca degli stessi, perdendo di
vista il bambino affamato.
Forse con la TV? Forse il bambino era stato
temporaneamente parcheggiato davanti alla tele e, dunque, nessuno è riuscito a
frenare il suo istinto giornalisticida.
Personalmente, penso che con chiunque o
qualunque cosa fosse, sentisse la mancanza della mamma e la volesse reclamare
tutta per sé, proprio con la scusa di un paio di inutili biscotti.
E poi, che genere di pressione può avere subìto lei, e tutte noi con lei, in passato, a livello lavorativo ma anche di cultura famigliare, per considerare che un figlio non possa penetrare la sfera lavorativa, senza considerarlo fonte di imbarazzo?
Le nostre reazioni improvvise, ossia quelle che
non vengono dettate da riflessioni accurate e nate da un periodo di comoda
analisi, rispecchiano quello che è il nostro vero pensiero, perché non ci danno
il tempo di rivestire il nostro agire delle maschere che ci siamo costruiti per
piacere agli altri o per passare per accettabili in società.
Così, se mi trovassi in una situazione di
pericolo, non saprei, sinceramente, se sarei in grado di mantenere la calma, che
ostento sempre quando sono in pubblico: anzi, penso che mi metterei a correre
il più in fretta possibile, magari urlando e facendo le puzzette!
Dunque, la concezione della madre come entità
che esiste solo al di fuori del posto di lavoro, come essere che pensa alle
sole vicende casalinghe (catalogate come “doveri”, altro tema sul quale
bisognerebbe soffermarsi), e che si dissolve magicamente una volta che ci
dedichiamo alle nostre attività per le quali veniamo pagati, è il punto di vista
largamente condiviso, che però porta a quelli che sono gli scompensi e le
difficoltà delle madri stesse.
I luoghi comuni che infettano i posti di
lavoro, siano essi privati o pubblici, impiegatizi o operai, ne sono la
dimostrazione: “Tanto quella ha i figli, figurati che gliene frega del lavoro”,
“Tizia esce sempre alle cinque, perché deve andare a prendersi il bambino, mica
ha voglia di fermarsi”, “Una volta che avrai i figli, cambieranno le tue
priorità” e via dicendo.
E, purtroppo, questo germe della critica fine a
sé stessa, molto spesso è presente nelle stesse donne, che riescono in questo
modo ad innescare un programma autolesionista a lungo termine. E al diavolo la
solidarietà femminile, quella davvero un’entità estratta che difficilmente si
manifesta.
In questa vicenda, invece, abbiamo a chiusura l’importante
intervento del maschio-alfa, che ricorda a tutto il pubblico che ci sono dei
doveri domestici cui assolvere e che l’entrata in scena del marmocchio ha rotto
l’incanto della diretta, facendo tornare la mamma-giornalista solo mamma-cenerentola.
Purtroppo, per le mamme-cenerentola il Principe
Azzurro non esiste, perché per la nostra società non sarebbe abbastanza macho e
neanche fate madrine, perché in realtà le donne sono spesso stronze.
Restano due grandi interrogativi: il pupo, li
ha poi avuti i suoi biscotti?
E poi: se al posto di una mamma, ci fosse stato
un papà, come si sarebbero svolti i fatti?
Tento di rispondere a quest’ultima domanda: in
aiuto del “povero” papà-giornalista, indebitamente interrotto dal figlio
incosciente, sarebbe arrivata certamente una donna, magari la mamma, magari una
tata (più facilmente la tata, perché alla mamma non sarebbe sfuggito); il giornalista da casa e quello in studio si
sarebbero fatti una gran risata e il servizio si sarebbe concluso regolarmente,
com’è giusto che sia.
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