Notte prima degli esami. Ma quand’è che sei cresciuto così, figlio mio?
Mio. Ancora mio?
Ormai devo aggiungere un avverbio davanti all’aggettivo e,
soprattutto, un punto interrogativo subito dopo.
Ricordo bene quella tua manina alzata verso di me, e la pelle
morbida, quando toccava la mia e si faceva racchiudere. Ricordo bene il tuo
sguardo acceso, il tuo sorriso furbetto.
Ahimè, adesso li hai messi via: per un po’ hai deciso di privarne
il mondo, per lo meno quello che conosco io.
Si chiama adolescenza, baby. Eh sì: me o ripeto spesso, praticamente
tutti i giorni. Ma, come si dice: non c’è
peggior sordo di chi non vuol sentire, anche se si tratta di parole proprie!
E allora me lo ripeto: quand’è che sei cresciuto così,
figlio mio?
Forse, quello che veramente voglio chiedermi è solamente
quando e come e perché è volato così veloce il tempo. E dove finito.
Nei tuoi capelli ricci, nelle tue gambe lunghe, nelle tua
mani grandi?
O, più semplicemente, nei miei capelli grigi?
E basta, allora, con gli "Io ho fatto così"!
Notte prima degli esami.
E devo ricordarmi che non sono i miei.
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